<strong>Al Teatro Comunale di Benevento, nella kermesse “Benevento città spettacolo Teatro”, in scena “A che servono questi quattrini”</strong>

Al Teatro Comunale di Benevento, nella kermesse “Benevento città spettacolo Teatro”, in scena “A che servono questi quattrini”

Cultura

Nella serata di venerdì 11 novembre, il Teatro Comunale di Benevento, rinnovato nella sua struttura ospitativa, ha visto in scena Nello Mascia e la sua compagnia composta da Valerio Santoro, Salvatore Caruso, Loredana Giordano, Fabrizio La Marca e Ivano Schiavi, nella commedia di Armando Curcio “A che servono questi quattrini”.

Affollato il Teatro cittadino di tanti appassionati di recitazione ed in particolare del genere della commedia in vernacolo napoletano, tanta la voglia da parte dei presenti di respirare arte, emozioni e riso seguendo le elucubrazioni, in merito al valore del danaro, da parte del protagonista Eduardo Parascandolo, egregiamente rappresentato dall’attore del teatro napoletano Nello Mascia.

Frizzante l’aria nel teatro all’apertura del sipario e all’ingresso degli attori sul palcoscenico, tanta la voglia, dopo un troppo lungo periodo di isolamento, di condividere la storia insieme a tanta gente per riappropriarsi del piacere di una socialità quasi dimenticata.

 Intrigante la trama della storia rappresentata, quella di un marchese, tale Eduardo Parascandolo, che, dopo aver dilapidato tutti i suoi averi disprezzando l’attenzione ai propri beni e alle sue finanze, trascorre il suo tempo addestrando alcuni giovani, quasi suoi discepoli, a disprezzare il danaro e il lavoro come attività inutili e insegnando loro l’arte del riposo e della riflessione pseudo filosofica.

Suo discepolo, nella piece teatrale , è tale Vincenzino Esposito, povero tornitore che vive con sua zia Carmela e che è innamorato di Rachelina, sorella di Ferdinando De Rosa, proprietario di un pastificio in difficoltà economiche e contrario ad un eventuale rapporto del giovane con sua sorella.

Vincenzino però, istruito dal Parascandolo ad abbandonare il lavoro come malattia che affligge l’umanità, si scontra con la zia che lo sollecita a tornare al lavoro per pagare le tante scadenze quotidiane.

Il “professore”, come Vincenzino chiama il marchese, presentatosi a casa del giovane, cerca di convincere anche sua zia alla necessità dell’ozio e per farlo cita filosofi come Socrate, Platone e Diogene che, a suo dire, non si occupavano di lavoro, ma vivevano, parafrasando Diogene in particolare, “cercando l’uomo”.

 Una ricerca che non considerava altri bisogni terreni tanto che, come Parascandolo racconta, alla domanda di Alessandro Magno al filosofo se avesse bisogno di qualcosa, Diogene abbia risposto Scostati un poco dal sole”.

Il danaro è un trucco, crea infelicità, non è necessario essere ricco, basta dare l’impressione di essere ricco, queste le convinzioni del “professore”.

Per poter consentire a Vincenzino di sposare però Rachelina, il professore architetta, con un suo fedele servitore, una messinscena con la quale fa credere al suo allievo di aver ereditato del danaro da un parente in America. Tutti vengono a sapere della presunta eredità e offrono i loro servigi al giovane falegname, compreso Ferdinando De Rosa che, in cambio di un prestito da parte di Vincenzino, acconsente al matrimonio di questi con la sorella.

Ovviamente è tutto frutto di una finzione, i presunti denari scompaiono, ma la loro ipotetica presenza consente a Vincenzino di avere Rachelina mentre, contemporaneamente, egli dichiara che non gli importa niente che il danaro non ci sia davvero, realizzando così il pensiero del suo maestro.

Molto convincente e divertente la recitazione dell’intera compagnia che, ciascuno nel suo ruolo, ha affascinato emotivamente e in modo ironico il pubblico che, trascinato dalla recitazione spontanea e coinvolgente, non ha lesinato applausi scroscianti alle battute ed alle situazioni paradossali.

La commedia, che ha visto un Nello Mascia in grande spolvero come attore e protagonista, era già stata, in passato, oggetto di recitazione da parte di altri grandi attori come Peppino ed Eduardo De Filippo, oltre a Paolo Stoppa e Titina De Filippo. A che servono questi quattrini è infatti una commedia di Armando Curcio messa in scena per la prima volta nel 1940 dalla compagnia dei De Filippo con grande successo di pubblico.

La cosa che però, più di altre, colpisce nella trama della commedia, oltre che nella sua interpretazione, è sicuramente il ricorso a teorie bizzarre e controcorrente, specie nel nostro mondo controllato dalla finanza e dal danaro, teorie che ritengono come assolutamente vera, l’inutilità del danaro stesso come oggetto primario della nostra vita.

La Filosofia, a cui ricorre il protagonista per giustificare le sue teorie, in modo leggero e quasi canzonatorio, diventa nella trama, la giustificatrice di convinzioni apparentemente assurde, ma supportate dalla sua pratica della riflessione come unico lavoro apparente di grandi pensatori.

L’inutilità del danaro e la dannosità del lavoro, pur calati all’interno di vicende di due famiglie napoletane, una poverissima e l’altra benestante, pur presentate sul filo del paradosso, finiscono però per coinvolgere nell’andamento razionale delle teorie del Parascandalo, tanto da farci riflettere e nello stesso tempo divertirci.