Sport, agonismo e propaganda politica, lettura nuova e accattivante della pratica sportiva del Fascismo, dapprima come strumento di propaganda diventato poi, in molti casi, mezzo di lotta al totalitarismo del ventennio, nel libro di Sergio Giuntini, presentato nella serata di venerdì presso il “palazzo del volontariato” – Croce Rossa – a Benevento.
Sergio Giuntini è il Presidente della Società Italiana di Storia dello Sport ( SISS) e membro dell’Accademia Olimpica Nazionale Italiana (AONI), nonché autore di moltissimi saggi di tema sportivo.
Accolto da Erminio Fonzo e Amerigo Ciervo, rispettivamente presidente della sezione beneventana dell’Anpi e presidente Comitato provinciale Anpi, Giuntini è stato invitato a raccontare il significato della sua opera “Oltre la vittoria”.
Giuntini, membro egli stesso dell’Anpi, è stato presentato da Erminio Fonzo che ha definito il lavoro di Giuntini “una sorta di “dizionario biografico” sull’antifascismo sportivo e sugli atleti che hanno contribuito alla lotta contro il totalitarismo nel periodo delle due guerre e durante la seconda guerra mondiale nei movimenti di resistenza”.
Nel volume, continua Fonzo, si cerca di colmare la dimenticanza dei tanti, molti ignoti, ma campioni dello sport che, andando “oltre la vittoria”, hanno combattuto il nazifascismo sacrificando le loro vite entrando nella Resistenza.
Sappiamo bene come lo sport sia stato spesso utilizzato, già a partire dall’Antica Grecia, per esaltare la bellezza e la forza di una nazione, il totalitarismo fascista non fu da meno e lo utilizzò come strumento di propaganda politica ed esaltazione della forza fisica, quel vigore corporeo che rappresentava la via maestra verso la possanza guerriera necessaria in una guerra.
Lo stesso Mussolini amava farsi immortalare mentre praticava dello sport convinto che, riprendendo l’utopia nietzschiana dell’uomo nuovo, l’uomo fascista potesse rappresentare “l’inno e la battaglia, il libro e il moschetto, il pensiero e l’azione, la cultura e lo sport”.
A questo fine egli creò delle organizzazioni come l’Opera Nazionale Balilla e la Gioventù Italiana del Littorio, che si dovevano occupare della preparazione fisica dei giovani.
Fonzo ricorda inoltre che nel libro di Giuntini sono citati nomi noti, come Bartali, che ebbe un ruolo discusso nel sostegno agli ebrei, ma anche tanti nomi poco conosciuti, sportivi e sportive italiani, tedeschi polacchi, francesi, che hanno dato il loro contributo alla lotta contro i totalitarismi, mettendo a repentaglio, molto spesso, la loro carriera se non addirittura la loro vita.
Ciervo ricorda poi che lo scritto di Giuntini rappresenta una testimonianza che mancava e cioè, lo sport in rapporto al Fascismo, ma soprattutto all’Antifascismo. Egli ringrazia poi Giuntini perché, grazie al suo scritto, ha potuto conoscere la storia di un calciatore del Napoli degli anni ’50, tale Antonio Bacchetti, detto dai partenopei ‘O Cammello, che nel 1951 subì un processo in corte d’assise a Udine per il suo passato partigiano. Con il nome di “Gianni”, egli fu accusato di reati di guerra e di aver ucciso, durante il periodo partigiano, tale Antonio Camuzzi, collaborazionista e arraffatore fascista; Bacchetti fu poi amnistiato dalla legge Togliatti del 1946.
Giuntoli ricorda di aver immaginato il testo ripensando all’importanza che hanno avuto, nella guerra fredda, i Festival mondiali della gioventù democratica, a cui partecipavano giovani di tutto il mondo, movimenti della sinistra, di cui sono stati presidenti illustri italiani come Enrico Berlinguer.
Egli aveva notato che nella composizione del comitato centrale della federazione c’era anche tale Antonio Bacchetti calciatore. Di li è nato il progetto di scrivere su questo calciatore e di giovani italiani che, cresciuti nell’Italia fascista, in un sistema totalitario, indottrinati politicamente fino all’eccesso, all’interno del quale lo sport aveva una valenza fondamentale, pilastro del regime fascista e del nazional-socialismo tedesco, ma anche in altre forme del comunismo orientale, avessero poi fatto scelte di lotta a tali regimi.
Tanti i processi contro ex partigiani in Italia a fronte dei pochi quelli contro ex fascisti, come quello contro Andrea Chieti, calciatore del grande Torino, arrestato e tenuto in prigione per un caso analogo a quello di Bacchetti e poi assolto per non aver commesso il reato.
Emblematico il caso di una partigiana, una ragazza di cui ha parlato in un altro libro “Biciclette partigiane: diciannove storie di ciclismo e Resistenza”, una giovane di nome di Zelinda, una staffetta partigiana, membro della Quarta brigata Garibaldi Venturoli, nome di battaglia Lulù che nel maggio del 1951, anni del centrismo democristiano, anni della resistenza tradita, dei processi alla Resistenza, viene arrestata a accusata di uccisione e occultamento del cadavere di tale sottotenente Giacomo Malaguti. Condannata al carcere, ammalatosi di tubercolosi polmonare si ricovera al manicomio criminale di Aversa, ma viene poi riconosciuta innocente.
Tanti i personaggi citati nel libro che hanno fatto dell’attività sportiva un mezzo di opposizione ai totalitarismi, questo in tutta Europa, tanti gli “sportivi resistenti” che hanno combattuto per un’Italia diversa e migliore rispetto a quella prospettata dal Fascismo. Nel libro tante storie che Giuntini ha estrapolato rivisitando le loro vite passate attraverso lo sport.
Molti avevano cominciato a fare sport durante il Fascismo, alcuni con carriere brillanti durante il ventennio, poi dopo l’8 settembre, quando fu necessario operare una scelta, molti di loro hanno aderito alla lotta al Fascismo e sono diventati partigiani, come Michele Moretti, già calciatore nelle giovanili dell’ Esperia , poi nella Comense , commissario politico della 52° “brigata Garibaldi Luigi Clerici”, che ferma Mussolini quando il 27 aprile 1945 egli stava fuggendo in Svizzera camuffato da tedesco.
Altro personaggio significativo è stato Gianni Brera,il più grande giornalista sportivo italiano, che, già ufficiale fascista, abbandonata ogni simpatia totalitaria, divenne partigiano come aiutante maggiore della 89°brigata Garibaldi Luigi Comori, nella Val d’Ossola e divenne l’autore del diario storico della sua brigata.
Dopo un ricordo del ruolo del Partito Comunista tedesco nella resistenza al Nazismo e della sua organizzazione sportiva molto importante, Giuntini ricorda anche il ruolo dello sport nella Germania Democratica post bellica, strumento di rivalsa sociale nei confronti della Germania Federale, mezzo di riscatto internazionale che, nonostante gli scandali per le varie forme di doping, aveva regalato al paese visibilità internazionale.
Egli non manca di citare il ruolo del pugilato nell’immaginifico fascista che, nel dopoguerra, almeno fino agli anni ’80, diventa ben presto luogo di rivalsa delle categorie sociali più svantaggiate e dunque di sinistra.
Sport, politica e società, sono dunque ambiti solo apparentemente diversi e lontani, sfere della vita pubblica e privata che si sono spesso intrecciate orientando lo sviluppo comunitario e indirizzando scelte di vita.
A Palazzo Paolo V l’Anpi Benevento con “la lunga notte del ‘43” (FOTO)
Palazzo Paolo V ha ospitato, su iniziativa dell’Anpi di Benevento, nell’intera giornata di venerdì 13 ottobre, la seconda giornata del ricordo della “Lunga notte del ‘43”.
In continuità con quanto già ricordato nella mattinata del 29 settembre con l’incontro con Gianfranco Pagliarulo – Presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, l’Anpi ha organizzato un articolato e ricco dibattito intorno alle vicende del nostro paese a partire dal 1943, anno cruciale degli eventi bellici in Italia, con la caduta del Fascismo, con la votazione sull’ordine del giorno presentato da Dino Grandi che chiese la sfiducia di Mussolini, era il 25 luglio del ‘43, e con il comunicato della firma dell’armistizio dell’8 settembre del ’43.
Ospite dell’incontro, in primis, Ciro Raia, coordinatore regionale dell’Anpi Campania, oltre che storico e autore del volume “Le quattro giornate di Napoli (quasi un diario)”. A seguire hanno dato il loro contributo ai lavori della mattinata, Teresa Simeone ( vicepresidente Anpi Benevento), Emilio Bove (Anpi Valle Telesina), Antonio Vassallo (Anpi Valle Caudina), Alfonso Maria Di Caprio ( Anpi Valle Telesina), Albertina Soliani ( Presidente Istituto Cervi di Reggio Emilia).
Nel pomeriggio hanno relazionato Erminio Fonzo (Anpi Benevento- Università di Salerno), Antonio Conte ( Anpi Valle Telesina), Luigi Diego Perifano ( Anpi Benevento), Angelo Bosco ( Anpi – CGIL Benevento), Amerigo Ciervo ( Presidente Provinciale Anpi Benevento) e Vincenzo Casamassina ( Docente Diritto Costituzionale Unisannio).
Presenti nella sala diverse scuole superiori di Bn e provincia.
Ciervo apre i lavori ricordando che le quattro giornate di Napoli sono state l’atto di ribellione ai tedeschi occupanti da parte di una intera città che, con tale gesto, ha di fatto dato l’avvio alla Resistenza in Italia, un gesto poco folcloristico, come è rappresentato anche nel film di Nanni Loy, ma atto di coraggio e scelta eroica di uomini, donne e bambini che, in nome della loro libertà e dignità, hanno sacrificato la vita per liberare la città dal nemico.
Raia prende la parola per ribadire l’importanza di ricordare episodi, come quello delle quattro giornate di Napoli, di cui, come per altri fatti storici importanti, si sta perdendo traccia e memoria, anche se essi sono stati fondamentali per la storia nazionale ed internazionale. Le quattro giornate, ricorda, non sono state vicende folcloristiche, non sono state opera dei soli scugnizzi, neppure rivolta dei bolscevichi napoletani, come affermato all’epoca da radio Monaco, né un atto dei badogliani napoletani, come affermato dalla radio di Salò.
Le quattro giornate, episodio spesso dimenticato, è stato rivolta di un popolo, uomini, donne, decisive nella loro azione, sacerdoti, ragazzi, bambini, femminielli, un popolo che aveva subito la fame, la sete, la mancanza di gas, i bombardamenti diurni e notturni, 25000 morti vittime della guerra. Atto dunque che in qualche modo, ricorda, ha completato la rivoluzione napoletana in generale, iniziata come rivolta di uno: Masaniello, nel ‘600, continuata come rivolta intellettuale nel 1799 e conclusasi come rivolta di un intero popolo nel ’43. In merito ricorda i nomi di tante donne che hanno contribuito, in modo significativo, al successo della rivolta e alla salvezza di tanti uomini.
E’ seguita la relazione della Simeone in merito ai martiri/partigiani di Benevento, dei quali abbiamo memoria nella toponomastica cittadina e ai bombardamenti sulla città che determinarono circa 2000 vittime, la distruzione del sistema viario e dei trasporti, la devastazione del Duomo cittadino del VII secolo, l’abbattimento di quasi tutto il centro della città, devastazione riconosciuta che consentì alla città di avere, dall’allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, la medaglia d’oro al merito civile.
Dopo gli interventi di Emilio Bove, Antonio Vassallo e Alfonso Maria Di Caprio che hanno ricordato specifici episodi di eccidi di giovani vite nei loro paesi, ha preso la parola la Soliani che, con pacatezza, ma determinazione, ha ricordato che questi ottanta anni rappresentano un tempo lungo, ma breve della vita dei tanti che, con coraggio e determinazione, hanno contribuito alla liberazione del paese. Uomini del nord e del sud, immersi in una storia che ha visto, tutta l’Italia insieme, combattere per il nostro paese.
Ha poi raccontato la vita semplice, ma decisa dei sette fratelli Cervi, contadini che, pur non avendo studiato tanto, hanno compiuto una scelta e sposato la causa della Resistenza rimanendo tutti vittime della ferocia tedesca.
Nel pomeriggio ha relazionato Erminio Fonzo in merito agli anni politici immediatamente successivi alla fine della guerra a Benevento. La città fu liberata il 2 ottobre 1943 e, con l’arrivo degli alleati, vide l’affermarsi di due partiti: quello liberale, fondato da Raffaele De Caro, e quello della Democrazia Cristiana, rappresentato da Giambattista Bosco Lucarelli. Inutile ricordare che molti politici del tempo erano stati nelle fila fasciste, ma nella città l’epurazione fu molto blanda.
Liberali e democratici, nei momenti terribili del dopoguerra, ebbero il sostegno degli alleati occupando ruoli decisivi nell’amministrazione. Erano sostenuti da gruppi consolidati della società del tempo e rimasero al potere per decenni sostenuti dallo spirito conservatore della realtà contadina del posto.
Dopo l’accorato ricordo di Antonio Conte in merito alla nascita, difficoltosa e travagliata, del partito comunista a Benevento, partito che voleva essere nuovo, sempre rimanendo nella ragion d’essere della Costituzione, ma soffriva della mancanza della classe operaia nel territorio, ricordando la prima sede del partito in città; Luigi Perifano ricorda le peripezie storiche e politiche della nascita del partito Socialista in città, fondato nel 1894, partito di popolo fatto di commercianti e maestranze operaie.
Angelo Bosco ricorda poi gli eventi che portarono alla nascita del sindacato a Benevento, mentre Amerigo Ciervo chiede che l’Anpi sia protagonista nella ricostruzione delle vicende degli I.M.I. ( Internati militari italiani), uomini detenuti nelle carceri tedesche e dimenticati come combattenti e soggetti/oggetti di storia.
Chiude la giornata il Casamassina ribadendo il valore, dopo 75 anni, della nostra Costituzione, nata da un accordo fra tutte le forze politiche del dopoguerra, con chiara impostazione antifascista e garantista. Le difficoltà di gestione politica non sono causate da un’errata impostazione costituzionale, ma solo da una non corretta gestione della politica.
Una revisione della Costituzione, come quella presidenzialista, non può e non deve toccare l’impianto garantista del testo che impedisce un ritorno a poteri individuali e salvaguarda la nostra democrazia anche grazie al controllo del parlamento su ogni governo possibile.
27 Gennaio, giorno della memoria, perché il ricordo degli orrori del passato non sbiadisca
Il 27 gennaio del 1945, le truppe dell’Armata Rossa, in direzione della città di Berlino, giunsero ai cancelli di un campo di sterminio tedesco, quello di Auschwitz e, apertolo, trovarono cadaveri scomposti, baracche sconquassate e pochi vivi, rinvennero poi 8 tonnellate di capelli umani e centinaia di abiti di persone che non c’erano. Non salutavano, non parlavano, ma, senza sorridere, procedevano come oppressi dalla pietà, da un controllo sulle emozioni, dalla sorpresa di fronte a quello scenario funereo di un luogo che portava nella scritta dell’ingresso la frase Arbeit macht frei (il lavoro rende liberi).
Così racconta Primo Levi il momento dell’ingresso dei soldati russi nel campo : “Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero,quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa”.
Primo Levi
In memoria di quel giorno l’ONU, nel 2005, proclama il 27 gennaio Giornata Internazionale della Commemorazione in memoria delle vittime dell’Olocausto, per non dimenticare i milioni di esseri umani che, per ragioni che la mente rifiuta perfino di ascoltare, furono trucidati, torturati, umiliati, dissolti nel fumo dei forni crematori, eliminati fisicamente e psicologicamente in nome di non si sa bene cosa, realizzando quanto deciso nella conferenza di Wannsee del 1942, nella quale fu deliberata la “soluzione finale della questione ebraica”.
Il ricordo della Shoah è la memoria di un passato che ha umiliato l’essere umano, memoria di un tempo nel quale erano scomparsi tutti i principi della convivenza umana, memoria di persone apparentemente normali trasformate in aguzzini o vittime innocenti, memoria di un tempo in cui per alcuni tutto era giusto e tutto sembrava possibile, anche annientare vite umane e cancellare ogni loro dignità di essere vivente.
Un tempo passato in cui, per volontà di pochi, tutti erano nemici da annientare in nome di una assurda supremazia razziale e/o religiosa, un tempo forse lontano, ma che serpeggia ancora oggi fra quanti, sconfitti nella vita di relazione e personale, ancora vogliono odiare per sentirsi vivi.
Il 27 gennaio perciò non è solo una data, è una stele per ricordare fin dove l’abiezione umana può giungere, in che modo essa può agire giustificando se stessa come difensore di un principio “sacro”, partorito da menti malate; quanta sofferenza illogica, irrazionale e assurda può produrre solo per giustificare certa cecità e presunzione umana marcia, una oscurità della mente che si nutre di sopraffazione e violenza giustificandola come “bene necessario” al proprio popolo.
Il 27 gennaio è dunque un momento di riflessione e di memoria, non di stanca rievocazione, un attimo di sospensione da ripetitivi attimi di una vita presa da bisogni spesso effimeri, per guardare in faccia una realtà crudele che tanti portano ancora tatuata sui loro corpi e nella loro mente. La memoria dello sterminio di un popolo e di tanti individui etichettati come inferiori da menti spregevoli e, loro si , al di sotto della categoria di esseri viventi, deve farci riflettere perché purtroppo, ancora nel nostro presente, esistono forme di arroganza etnica, politica e sociale che annullano ogni concetto di civiltà e convivenza umana.
Non solo gli ebrei furono vittime dell’Olocausto, con loro anche Sinti, Rom e persone con problemi fisici e mentali, tutti cancellati dalla vita in nome della razza ariana, eliminati senza rimorsi e scientificamente, derubati di ogni bene, tanti uomini disconosciuti nei loro meriti, nonostante avessero combattuto per la Germania nella prima guerra mondiale, tante famiglie smembrate, separate e spedite nei campi di sterminio, tante donne umiliate, stuprate, denudate davanti a ufficiali e soldati tedeschi e mandate nelle camere a gas, tanti bambini uccisi perché non diventassero uomini che si sarebbero vendicati o fatti oggetto di esperimenti che, tra le altre cose, avrebbero dovuto provare sistemi più veloci per l’eliminazione di massa.
La Germania è stata tra i primi paesi europei ad abbracciare l’idea del 27 gennaio, seguita da tutti gli altri paesi occidentali, il paese infatti ha deciso di fare i conti con il proprio passato riconoscendo la follia che aveva guidato il popolo tedesco durante il terzo Reich, diversamente, ci duole dirlo, da altri, come l’Italia, che a fatica ha ammesso gli errori del Fascismo cercando, paradossalmente, di trovare il buono in un regime che è stato comunque complice degli orrori tedeschi, dalle leggi razziali del 1938 ai campi di concentramento italiani che, pur non essendo stati campi di sterminio, sono stati lugubri luoghi di raccolta degli ebrei da inviare in Germania.
Purtroppo questi processi di autoassoluzioni lasciano troppo spazio ad un revanscismo non tanto territoriale quanto sciovinistico, il tentativo cioè di vedere solo “il buon italiano”, dimenticando responsabilità e connivenze con il male.
Conservare la memoria del passato ci consente dunque di riscoprire le nostre radici e i nostri errori, di capire chi siamo, che percorso abbiamo compiuto e come evitare gli sbagli del passato, tutto ciò per impedirci di ripercorrere strade sbagliate o che hanno fatto soffrire, infatti senza la dimensione del ricordo, noi saremmo il nulla, come ricorda Francesco Guccini nella sua splendida “Auschwitz”.
Ricordiamo dunque l’unicità della volontà tedesca di distruggere tutti gli ebrei d’Europa, ricordiamo gli orrori che un intero popolo ha subito senza comprendere il perché, ma soprattutto ricordiamo che l’essere uomini e donne di un mondo giusto e democratico passa attraverso la consapevolezza di errori e la volontà che essi non abbiano a ripetersi.
Ricordiamo che, in pari giornata, anche l’Anpi di Benevento, come tutti gli omologhi nazionali, ha ricordato una pagina tragica del passato attraverso le voci di Erminio Fonzo, Presidente della sezione di Benevento, Amerigo Ciervo, Presidente del Comitato Provinciale di Benevento, Giuseppe D’Angelo, professore di Storia Contemporanea all’Università di Salerno e Emanuele Fiano, già deputato della Repubblica autore de “ Il profumo di mio padre. L’eredità di un figlio della Shoah”.
Alla Rocca dei Rettori, l’Anpi di Benevento presenta il terzo volume di “Sentieri di resistenza”
Nella serata di mercoledì 4 gennaio è stato presentato, presso la Rocca dei Rettori di Benevento, il terzo volume dell’opera “Sentieri di Resistenza”. In esso sono stati raccolti gli interventi del terzo ciclo di seminari dell’Officina “Maria Penna” che si sono succeduti tra il 2019 ed il 2020. Presenti all’evento Amerigo Ciervo, presidente provinciale ANPI Benevento, Nicola Sguera, responsabile dell’Officina, Vincenzo Calò, della Segreteria Nazionale ANPI e Ciro Raia, Coordinatore regionale ANPI Campania.
Il libro, che presenta una copertina curata da Gaetano Cantone, è suddiviso in tre sezioni che affrontano saggi di filosofia e diritto, storia e storia dell’arte. Hanno contribuito al lavoro Vincenzo Baldini, Nicola Sguera, Vincenzo Casamassima, Dolores Morra, Antonio Conte, Mariavittoria Albini, Amerigo Ciervo, Teresa Simeone, Ilaria Vergineo, Corrado Tesauro, Lorenzo Covino.
Il lavoro vede in chiusura una descrizione de “L’albero della Repubblica”, cartella di grafica dedicata alla democrazia italiana.
Ha aperto i lavori Nicola Sguera che ha presentato gli scritti presenti nell’opera dandone una sommaria descrizione.
A lui è seguito Amerigo Ciervo che ha voluto ricordare i difficili tempi in cui vive lo spirito partigiano e la sua memoria, la voglia di un falso revisionismo che ha visto, anche da parte di membri del Parlamento e dell’attuale governo, la falsità della commemorazione dell’anniversario della nascita del MSI, la mancata elezione della sindaca di Marzabotto, e tanti altri eventi che rappresentano quasi un modo per dimenticare o cancellare il ruolo della resistenza.
Egli ricorda le responsabilità della politica, soprattutto nell’omologazione dello schieramento di destra e sinistra, il rituale spesso obbligato del “giorno della memoria”, per non dimenticare un libro in uscita a Morcone sulla famiglia Mussolini. Egli ricorda come sia indispensabile affidarsi alla Costituzione, specialmente oggi che il nuovo governo attacca il reddito di cittadinanza come fosse il primo atto indispensabile, che dimentica i diritti delle donne e si preoccupa invece di portare avanti il progetto di autonomia differenziata e di meritocrazia nelle scuole.
Essere antifascisti oggi, egli continua, è impegnativo, ma necessario, “chi pensa all’umiliazione come fattore di crescita è un fascista” afferma con forza. E’ necessario attuare la Costituzione e l’Anpi ha precisamente questo obiettivo.
Prende la parola Vincenzo Calò che, orgogliosamente fa notare la spilla che porta appuntata sulla giacca, la spilla “Bella ciao”, come volle chiamarla la compianta Presidente Nazionale Carla Nespolo dietro domanda di un coltivatore di rose. Ricorda poi che la memoria è ricchezza, allegria, unico mezzo per guardare avanti e la parola “sentieri” è significativa di un percorso di vita che abbia senso e significato.
In merito al valore della memoria, egli racconta poi la storia di un vecchio che camminava lungo un sentiero con sua nipote e, ripetutamente, si fermava per guardare indietro e alle ripetute richieste della bimba sul perché guardasse sempre indietro, il vecchio avesse risposto :“ Per avere ben chiaro dove andare, per non sbagliare, bisogna voltarsi indietro per vedere da dove veniamo”.
Ricorda poi che il revisionismo storico è oscurantismo, esso dice falsità e pretende di farle passare per verità, si vuole cancellare la definizione di “fascista” per sostituirla con quella di “patriota”, il termine “nazione” ha preso il posto di “paese”, si ripete quasi ossessivamente : “prima gli italiani”, ma questa affermazione giustifica solo la presenza di una gerarchia, come pure celebrare il presidenzialismo è solo un modo per cancellare il potere del Parlamento e il principio della divisione dei poteri caro alla nostra Costituzione.
Bisogna essere felici di essere sostenitori della libertà, dell’uguaglianza e l’essere antifascisti, ricordando i tanti che scelsero di combattere per questi ideali, non per un loro tornaconto, ma per il popolo italiano e, fra essi, i tanti meridionali che andarono a combattere nel nord Italia ancora occupato dai tedeschi.
Memoria dunque non è passiva celebrazione, ma attiva azione, anche in memoria delle tante donne partigiane che hanno scelto di rompere i tabù sociali della tradizione e combattere insieme agli uomini, costruendo così il proprio percorso di emancipazione, come ricorda la partigiana e scrittrice italiana Marisa Ombra.
Chiude l’incontro Ciro Raia che ricorda come il popolo è tornato ad essere individuo e dunque ognuno pensa per sé, dimenticando la solidarietà; Il partigiano non è solo chi ha imbracciato il fucile o imbraccia il fucile ancora oggi, il partigiano è anche chi non vuole la guerra e combatte senza imbracciare le armi. Siamo partigiani di desideri, desiderio di pace, libertà, amore, uguaglianza.
Ha poi rivendicato le scelte dell’Anpi in merito alla necessità di non inviare armi per la guerra Russo- Ucraina in nome della pace, sostenuta in tale posizione da Papa Francesco.
Purtroppo oggi si pensa solo al benessere sociale, afferma, dimenticando i principi di equità ed il dettato costituzionale soprattutto dell’articolo 3. Se qualcuno chiede se il Fascismo può tornare, dobbiamo rispondere che il Fascismo di Mussolini non tornerà, ma esso si può ripresentare in tante forme diverse e spesso apparentemente costituzionali. Egli ricorda, a tale proposito, le parole di Sandro Pertini:“ Il fascismo non è un’opinione è un crimine”.
E’ necessario operare nelle scuole e diffondere la cultura, strumento di conoscenza ed apertura alla comprensione degli eventi, solo così si diffonde l’antifascismo e, per citare Machiavelli, “Mai smettere di sperare e continuare”. Egli conclude affermando che è’ necessario alzare le barricate per cambiare questa società troppo spesso senza memoria, perché memoria vuol dire “essere umanità” e senza di essa dunque perdiamo la nostra sostanza di uomini e cittadini.
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