<strong>27 Gennaio, giorno della memoria, perché il ricordo degli orrori del passato non sbiadisca</strong>

27 Gennaio, giorno della memoria, perché il ricordo degli orrori del passato non sbiadisca

Attualità

Il 27 gennaio del 1945, le truppe dell’Armata Rossa, in direzione della città di Berlino, giunsero ai cancelli di un campo di sterminio tedesco, quello di Auschwitz e, apertolo, trovarono cadaveri scomposti, baracche sconquassate e pochi vivi, rinvennero poi 8 tonnellate di capelli umani e centinaia di abiti di persone che non c’erano.  Non salutavano, non parlavano, ma, senza sorridere, procedevano come oppressi dalla pietà, da un controllo sulle emozioni, dalla sorpresa di fronte a quello scenario funereo di un luogo che portava nella scritta dell’ingresso la frase Arbeit macht frei (il lavoro rende liberi).

Così racconta Primo Levi  il momento dell’ingresso dei soldati russi nel campo : “Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero,quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa”.

Primo Levi

In memoria di quel giorno l’ONU, nel 2005, proclama il 27 gennaio Giornata Internazionale della Commemorazione in memoria delle vittime dell’Olocausto, per non dimenticare i milioni di esseri umani che, per ragioni che la mente rifiuta perfino di ascoltare, furono trucidati, torturati, umiliati, dissolti nel fumo dei forni crematori, eliminati fisicamente e psicologicamente in nome di non si sa bene cosa, realizzando quanto deciso nella conferenza di Wannsee del 1942, nella quale fu deliberata la “soluzione finale della questione ebraica”.

Il ricordo della Shoah è la  memoria di un passato che ha umiliato l’essere umano, memoria di un tempo nel quale erano scomparsi tutti i principi della convivenza umana, memoria di persone apparentemente normali trasformate in aguzzini o vittime innocenti, memoria di un tempo in cui per alcuni tutto era  giusto e tutto sembrava possibile, anche annientare vite umane e cancellare ogni loro dignità di essere vivente.

Un tempo passato in cui, per volontà di pochi, tutti erano nemici da annientare in nome di una assurda supremazia razziale e/o religiosa, un tempo forse lontano, ma che serpeggia ancora oggi fra quanti, sconfitti nella vita di relazione e personale, ancora vogliono odiare per sentirsi vivi.

Il 27 gennaio perciò non è solo una data, è una stele per ricordare fin dove l’abiezione umana può giungere, in che modo essa può agire giustificando se stessa come difensore di un principio “sacro”, partorito da menti malate; quanta sofferenza illogica, irrazionale e assurda può produrre solo per giustificare certa cecità e presunzione umana marcia, una oscurità della mente che si nutre di sopraffazione e violenza giustificandola come “bene necessario” al proprio popolo.

Il 27 gennaio è dunque un momento di riflessione e di memoria, non di stanca rievocazione, un attimo di sospensione da ripetitivi attimi di una vita presa da bisogni spesso effimeri, per guardare in faccia una realtà crudele che tanti portano ancora tatuata sui loro corpi e nella loro mente.
La memoria dello sterminio di un popolo e di tanti individui etichettati come inferiori da menti spregevoli e, loro si , al di sotto della categoria di esseri viventi, deve farci riflettere perché purtroppo, ancora nel nostro presente, esistono forme di arroganza etnica, politica e sociale che annullano ogni concetto di civiltà e convivenza umana.

Non solo gli ebrei furono vittime dell’Olocausto, con loro anche Sinti, Rom e persone con problemi fisici e mentali, tutti cancellati dalla vita in nome della razza ariana, eliminati senza rimorsi e scientificamente,  derubati di ogni bene, tanti uomini disconosciuti nei loro meriti, nonostante avessero combattuto per la Germania nella prima guerra mondiale, tante famiglie smembrate, separate e spedite nei campi di sterminio, tante donne umiliate, stuprate, denudate davanti a ufficiali e soldati tedeschi e mandate nelle camere a gas, tanti bambini uccisi perché  non diventassero uomini che si sarebbero vendicati o fatti oggetto di esperimenti che, tra le altre cose, avrebbero dovuto provare sistemi più veloci per l’eliminazione di massa.

La Germania è stata tra i primi paesi europei ad abbracciare l’idea del 27 gennaio, seguita da tutti gli altri paesi occidentali, il paese infatti ha deciso di fare i conti con il proprio passato riconoscendo la follia che aveva guidato il popolo tedesco durante il terzo Reich, diversamente, ci duole dirlo,  da altri, come l’Italia, che a fatica ha ammesso gli errori del Fascismo cercando, paradossalmente, di trovare il buono in un regime che è stato comunque complice degli orrori tedeschi, dalle leggi razziali del 1938 ai campi di concentramento italiani che, pur non essendo stati campi di sterminio, sono stati lugubri luoghi di raccolta degli ebrei da inviare in Germania.

Purtroppo questi processi di autoassoluzioni lasciano troppo spazio ad un revanscismo non tanto territoriale quanto sciovinistico, il tentativo cioè di vedere solo “il buon italiano”, dimenticando responsabilità e connivenze con il male.  

Conservare la memoria del passato ci consente dunque di riscoprire le nostre radici e i nostri errori, di capire chi siamo, che percorso abbiamo compiuto e come evitare gli sbagli del passato, tutto ciò per impedirci di ripercorrere strade sbagliate o che hanno fatto soffrire, infatti senza la dimensione del ricordo, noi saremmo il nulla, come ricorda Francesco Guccini nella sua splendida “Auschwitz”.                   

Ricordiamo dunque l’unicità della volontà tedesca di distruggere tutti gli ebrei d’Europa, ricordiamo gli orrori che un intero popolo ha subito senza comprendere il perché, ma soprattutto ricordiamo che l’essere uomini e donne di un mondo giusto e democratico passa attraverso la consapevolezza di errori e la volontà che essi non abbiano a ripetersi.

Ricordiamo che, in pari giornata, anche l’Anpi di Benevento, come tutti gli omologhi nazionali, ha ricordato una pagina tragica del passato attraverso le voci di Erminio Fonzo, Presidente della sezione di Benevento, Amerigo Ciervo, Presidente del Comitato Provinciale di Benevento, Giuseppe D’Angelo, professore di Storia Contemporanea all’Università di Salerno e Emanuele Fiano, già deputato della Repubblica  autore de “ Il profumo di mio padre. L’eredità di un figlio della Shoah”.

Alla Rocca dei Rettori, l’Anpi di Benevento presenta il terzo volume di “Sentieri di resistenza”

Alla Rocca dei Rettori, l’Anpi di Benevento presenta il terzo volume di “Sentieri di resistenza”

AttualitàBenevento Città

Nella serata di mercoledì 4 gennaio è stato presentato, presso la Rocca dei Rettori di Benevento, il terzo volume dell’opera “Sentieri di Resistenza”. In esso sono stati raccolti gli interventi del terzo ciclo di seminari dell’Officina “Maria Penna” che si sono succeduti tra il 2019 ed il 2020. Presenti all’evento Amerigo Ciervo, presidente provinciale ANPI Benevento, Nicola Sguera, responsabile dell’Officina, Vincenzo Calò, della Segreteria Nazionale ANPI e Ciro Raia, Coordinatore regionale ANPI Campania.

Il libro, che presenta una copertina curata da Gaetano Cantone, è suddiviso in tre sezioni che affrontano saggi di filosofia e diritto, storia e storia dell’arte. Hanno contribuito al lavoro Vincenzo Baldini, Nicola Sguera, Vincenzo Casamassima, Dolores Morra, Antonio Conte, Mariavittoria Albini, Amerigo Ciervo, Teresa Simeone, Ilaria Vergineo, Corrado Tesauro, Lorenzo Covino.

Il lavoro vede in chiusura una descrizione de “L’albero della Repubblica”, cartella di grafica dedicata alla democrazia italiana.

Ha aperto i lavori Nicola Sguera che ha presentato gli scritti presenti nell’opera dandone una sommaria descrizione.

 A lui è seguito Amerigo Ciervo che ha voluto ricordare i difficili tempi in cui vive lo spirito partigiano e la sua memoria, la voglia di un falso revisionismo che ha visto, anche da parte di membri del Parlamento e dell’attuale governo, la falsità della commemorazione dell’anniversario della nascita del MSI, la mancata elezione della sindaca di Marzabotto, e tanti altri eventi che rappresentano quasi un modo per dimenticare o cancellare il ruolo della resistenza.

Egli ricorda le responsabilità della politica, soprattutto nell’omologazione dello schieramento di destra e sinistra, il rituale spesso obbligato del “giorno della memoria”, per non dimenticare un libro in uscita a Morcone sulla famiglia Mussolini. Egli ricorda come sia indispensabile affidarsi alla Costituzione, specialmente oggi che il nuovo governo attacca il reddito di cittadinanza come fosse il primo atto indispensabile, che dimentica i diritti delle donne e si preoccupa invece di portare avanti il progetto di autonomia differenziata e di meritocrazia nelle scuole.

 Essere antifascisti oggi, egli continua, è impegnativo, ma necessario, “chi pensa all’umiliazione come fattore di crescita è un fascista” afferma con forza. E’ necessario attuare la Costituzione e l’Anpi ha precisamente questo obiettivo.

Prende la parola Vincenzo Calò che, orgogliosamente fa notare la spilla che porta appuntata sulla giacca, la spilla “Bella ciao”, come volle chiamarla la compianta Presidente Nazionale Carla Nespolo dietro domanda di un coltivatore di rose. Ricorda poi che la memoria è ricchezza, allegria, unico mezzo per guardare avanti e la parola “sentieri” è significativa di un percorso di vita che abbia senso e significato.

In merito al valore della memoria, egli racconta poi la storia di un vecchio che camminava lungo un sentiero con sua nipote e, ripetutamente, si fermava per guardare indietro e alle ripetute richieste della bimba sul perché guardasse sempre indietro, il vecchio avesse risposto :“ Per avere ben chiaro dove andare, per non sbagliare, bisogna voltarsi indietro per vedere da dove veniamo”.

Ricorda poi che il revisionismo storico è oscurantismo, esso dice falsità e pretende di farle passare per verità, si vuole cancellare la definizione di “fascista” per sostituirla con quella di “patriota”, il termine “nazione” ha preso il posto di “paese”, si ripete quasi ossessivamente : “prima gli italiani”, ma questa affermazione giustifica solo la presenza di una gerarchia, come pure celebrare il presidenzialismo è solo un modo per cancellare il potere del Parlamento e il principio della divisione dei poteri caro alla nostra Costituzione.

Bisogna essere felici di essere sostenitori della libertà, dell’uguaglianza e l’essere antifascisti, ricordando i tanti che scelsero di combattere per questi ideali, non per un loro tornaconto, ma per il popolo italiano e, fra essi, i tanti meridionali che andarono a combattere nel nord Italia ancora occupato dai tedeschi.

Memoria dunque non è passiva celebrazione, ma attiva azione, anche in memoria delle tante donne partigiane che hanno scelto di rompere i tabù sociali della tradizione e combattere insieme agli uomini, costruendo così il proprio percorso di emancipazione, come ricorda la partigiana e scrittrice italiana Marisa Ombra.

Chiude l’incontro Ciro Raia che ricorda come il popolo è tornato ad essere individuo e dunque ognuno pensa per sé, dimenticando la solidarietà; Il partigiano non è solo chi ha imbracciato il fucile o imbraccia il fucile ancora oggi, il partigiano è anche chi non vuole la guerra e combatte senza imbracciare le armi. Siamo partigiani di desideri, desiderio di pace, libertà, amore, uguaglianza.

Ha poi rivendicato le scelte dell’Anpi in merito alla necessità di non inviare armi per la guerra Russo- Ucraina in nome della pace, sostenuta in tale posizione da Papa Francesco.

Purtroppo oggi si pensa solo al benessere sociale, afferma, dimenticando i principi di equità ed il dettato costituzionale soprattutto dell’articolo 3. Se qualcuno chiede se il Fascismo può tornare, dobbiamo rispondere che il Fascismo di Mussolini non tornerà, ma esso si può ripresentare in tante forme diverse e spesso apparentemente costituzionali. Egli ricorda, a tale proposito, le parole di Sandro Pertini:“ Il fascismo non è un’opinione è un crimine”.

E’ necessario operare nelle scuole e diffondere la cultura, strumento di conoscenza ed apertura alla comprensione degli eventi, solo così si diffonde l’antifascismo e, per citare Machiavelli, “Mai smettere di sperare e continuare”. Egli conclude affermando che è’ necessario alzare le barricate per cambiare questa società troppo spesso senza memoria, perché memoria vuol dire “essere umanità” e senza di essa dunque perdiamo la nostra sostanza di uomini e cittadini.