Passione nella lotta all’illegalità e amore fraterno nelle parole di Giovanni Impastato (FOTO)

Passione nella lotta all’illegalità e amore fraterno nelle parole di Giovanni Impastato (FOTO)

Cultura

Nel pomeriggio di martedì 7 marzo, all’interno degli incontri programmati per il nono Festival Filosofico del Sannio, organizzato dall’Associazione Culturale “Stregati da Sophia”, presieduta da Carmela D’Aronzo, negli spazi del Cinema San Marco di Benevento, Giovanni Impastato ha trascinato il folto pubblico presente, nel suo ricordo appassionato del fratello Peppino e della sua lotta irrefrenabile alla mafia ed al suo codice criminale.

Dopo l’introduzione all’incontro che rientra nella tematica della libertà, Carmela D’Aronzo ha presentato gli ospiti della giornata e precisamente Giovanni Impastato, fratello di Peppino – giornalista, conduttore radiofonico e attivista italiano nonché membro di Democrazia Proletaria, noto per le sue denunce contro la mafia che pagò con la vita – la prof. Antonella Tartaglia Polcini, Assessore alla Cultura ed alla Valorizzazione del patrimonio culturale, Simmarco Perillo (Presidente della cooperativa sociale “Al di là dei sogni”e del consorzio NCO- Nuova Cooperazione Organizzata) e il giornalista Mario Valentino che ha coordinato gli interventi.

Ella ha anche ricordato che, a chiusura dell’incontro, si sarebbe potuto visitare la mostra “Tracce di libertà”, con opere realizzate dagli alunni del Liceo Artistico “Virgilio” di Benevento.

Mario Valentino ha aperto l’incontro presentando il libro di Giovanni Impastato dal titolo: “GIOVANNI IMPASTATO MIO FRATELLO tutta una vita con Peppino”, un volume significativo già dalla copertina in cui si vedono dei palloncini rossi e, al di sotto, una foto di Peppino con dei palloncini bianchi.

Egli ha chiesto il significato dei due colori utilizzati e Impastato ha risposto che bisogna capire, a partire dalla foto del fratello, che Peppino non era solo quella figura di rivoluzionario impegnato politicamente, un uomo molto attento alla disobbedienza civile, alla giustizia sociale, oltre che impegnato politicamente, ma era anche una persona a cui piaceva divertirsi e la foto risale ad un carnevale di un anno prima che fosse ucciso, quando lui decise di mascherarsi da clown per far divertire dei bambini presenti nella piazza del paese.

Lui aveva tanta creatività, voglia di conoscere le cose, di passare dalla fantasia alla realtà; storia popolare ed umana quella di Peppino Impastato che, a distanza di tanti anni dalla sua morte, continua a commuovere e coinvolgere gli italiani.

Impastato ha creduto nel popolo, dice Giovanni, pur nella sua lotta solitaria, la sua prima battaglia è stata contro la costruzione dell’aeroporto di Punta Raisi, nel territorio di Cinisi, zona all’epoca ricca di frutteti, agrumeti e uliveti ed abitata da circa 200 famiglie. Un’operazione di speculazione sulla vendita dei terreni e su un’area infelice per la costruzione di un aeroporto. L’operazione è stata voluta dallo zio Cesare Manzella, capomafia nella Cinisi del dopoguerra, uomo potentissimo venuto dagli Stati Uniti  e autore del passaggio della mafia da fenomeno agricolo a urbano, poi assassinato con un ordigno esplosivo messo nella sua macchina.

Questo episodio fece esclamare a Peppino: “ Se questa è la mafia, io, per tutta la vita mi batterò contro” e manterrà la promessa che lo porterà alla morte con la stessa dinamite, con la differenza che lui fu tramortito e messo sui binari della ferrovia e fatto esplodere, era il 9 maggio del 1978, perché fosse avvalorata la tesi che era un terrorista, dal momento che era il periodo del terrorismo ed erano i giorni dell’omicidio Moro.  

Il libro è ricco di pagine inedite della vita di casa Impastato, in esso sono raccontati particolari mai conosciuti della vita di una famiglia mafiosa, il padre era un mafioso, e di rapporti tra fratelli non semplici, Peppino aveva cinque anni di più ed aveva passato molti anni in casa dello zio Mario, uomo di cultura e vicino alle idee socialiste, marito della sorella del padre, che lo aveva avviato alla visione legale contraria a quella mafiosa.

In quegli anni, egli conobbe anche Danilo Dolci, uomo dedito alle lotte nonviolente contro la mafia, la disoccupazione, l’analfabetismo e la fame endemica, oltre che alle disparità sociali ed il bisogno di affermare i diritti umani e civili.

La storia di Peppino non è dunque solo la vita di un uomo che odia la mafia, ma è quella di una persona che vive in una famiglia mafiosa; il padre lo caccia di casa soprattutto dopo gli attacchi alla mafia che Peppino fa attraverso la sua “Radio out”.  Solo la madre, Felicia Impastato, donna religiosa e legata al ruolo di famiglia tradizionale, non lo abbandonerà mai e negherà il permesso ai mafiosi, accorsi al funerale di Peppino, di scatenare vendette che avrebbero solo riscattato l’immagine della mafia fortemente indebolita dopo l’assassinio del figlio.

In merito all’episodio della morte del padre, come raccontato nel famoso film “I Cento passi”, Giovanni, con un filo di vergogna, rammenta di avere stretto le mani dei mafiosi accorsi per le condoglianze, cosa che Peppino, coraggiosamente, senza paura e coerente alle sue idee, si rifiutò di fare segnando, ulteriormente, il suo destino.

Giovanni Impastato rivendica la sua azione di ricordare il fratello non come un eroe lontano e particolare, ma come un uomo che credeva nella legalità e nella giustizia sociale, come potremmo essere tutti.

Segue l’intervento di Simmarco Perillo che racconta del bisogno di andare incontro a chi, emarginato per ragioni sociali o legali, ha diritto a ricostruire la sua vita e la sua dignità, obiettivo che egli, volontario, insieme alla cooperativa sociale “Al di là dei sogni”, nata nel casertano su un terreno confiscato alla camorra, sta tentando di fare.

L’incontro si chiude con domande poste da alcuni studenti presenti in sala a cui Impastato non si sottrare ribadendo che la presenza di suo fratello è sempre costante nella sua vita, come pure la sua passione di giustizia e legalità che egli condivide in toto.

BCT Festival, alla “Rocca dei Rettori” l’attore-regista Pif

BCT Festival, alla “Rocca dei Rettori” l’attore-regista Pif

AttualitàCalcio a 5Cultura

La serata di martedì 12 luglio ha visto, a Benevento, l’avvio del Festival 2022 del BCT –Benevento Cinema Televisione-. La manifestazione ideata e diretta da Antonio Frascadore, ha lo scopo di celebrare il mondo del piccolo e del grande schermo grazie anche alla partecipazione di numerosi e significativi personaggi.

La rassegna ha avuto, tra i primi ospiti della serata, presso i giardini della Rocca dei Rettori, l’attore-regista-conduttore Pierfrancesco Diliberto in arte Pif, personaggio da un’ironia sempre acuta ed intelligente.

In un palcoscenico privilegiato quale è il giardino della Rocca dei Rettori di Benevento, affacciato sul paesaggio serale e quasi magico della città, davanti ad un pubblico numeroso e attento che aveva voglia di conoscere direttamente un personaggio particolare e suggestivo quale è Pif, l’attore-regista ha fatto il suo ingresso sul palco elargendo il suo sorriso accattivante e salutando i presenti, cercando poi, inutilmente tra il pubblico, il primo cittadino Clemente Mastella che, ha commentato sarcastico, forse ha preferito un altro luogo della manifestazione dove era ospite una donna.

L’intervista ha preso il via, secondo un modello giornalistico leggero ed ironico, dalla lettura delle notizie su Pif riportate da Wikipedia da parte dell’intervistatore  Alessio Viola, giornalista volto di punta di Skytg24, informazioni che, di volta in volta, l’attore ha riconosciuto come attendibili o meno: “ Figlio del regista Maurizio Diliberto e della maestra di scuola elementare Mariolina Caruso,  fin dall’età di dieci anni comincia ad appassionarsi al cinema”.

Egli ha ammesso il suo interesse precoce per il cinema, ma anche che l’anno significativo della sua formazione di uomo e poi di direttore artistico, è stato il 1992, anno del suo diploma, ma soprattutto, da palermitano, della strage di via D’Amelio in cui perse la vita Paolo Borsellino.

Egli racconta di essersi trovato non lontano dal luogo dell’eccidio e dell’esplosione che seguì lo scoppio e di aver pensato, ingenuamente, che fosse “una fuga di gas”. Dopo aver frequentato il liceo scientifico all’Istituto Salesiano Don Bosco Ranchibile, racconta di essersi recato a Londra per frequentare alcuni corsi di Media Practice, ma confessa anche , nonostante sia rimasto nella capitale inglese per quattro anni, di non aver mai imparato l’inglese se non in modo sommario.

Viola poi, sempre prendendo spunto dalle notizie di Wikipedia, ricorda come la sua carriera lavorativa inizia come assistente alla regia di Franco Zeffirelli in Un tè con Mussolini (1998). Esperienza che Pif ricorda però simpaticamente più come addetto ai cani del regista.  Importante invece il suo ruolo di assistente alla regia di Marco Tullio Giordana durante le riprese del film “I cento passi”, film vincitore di quattro David di Donatello ed un premio alla Mostra di Venezia.

Pif ricorda con emozione quell’esperienza vissuta a Cinisi ed in modo particolare ricorda la scena nella quale Luigi Lo Cascio, l’attore che impersonava Peppino Impastato, urlava il suo odio alla mafia e ricordava la distanza tra la sua casa e quella del boss mafioso Gaetano Badalamenti, una scena girata in un luogo in cui la mafia era ancora ben presente e dunque dall’impatto doppiamente significativo.

In merito al tema della mafia egli ha affermato, con vigore, di non poter accettare l’esistenza di un’organizzazione criminale che ha fatto della Sicilia il suo fortino, diffamando un popolo ed i suoi rappresentanti, tema caldo che, ricorda, ha affrontato con determinazione nel suo film più famoso: “La mafia uccide solo d’estate” del 2013.

Viola gli ricorda la sua udienza presso il Santo Padre e Pif rievoca quel momento con emozione ammettendo la sua condizione di “agnostico”, un requisito che, paradossalmente, afferma, implica un continuo confronto con la fede e con Dio, in quanto, se è vero che l’agnosticismo  afferma l’incapacità della mente umana a conoscere l’assoluto e dunque Dio, nello stesso tempo è una condizione che invoglia alla ricerca e dunque al confronto con l’idea dell’assoluto stesso.

Il suo ricordo scivola poi alla sua partecipazione al programma di approfondimento “Le iene”, dove lavora come autore e inviato dal 2001 al 2010  ed in modo particolare all’esperienza durante le feste della Lega Nord, manifestazioni durante le quali è riuscito a farsi fotografare insieme ad Umberto Bossi, fondatore storico della Lega Nord. Della sua attività con Le Iene ricorda poi la sua collaborazione con la compianta Nadia Toffa, amica attiva e sempre disponibile.

Ricorda anche, con simpatia e ironia, la sua partecipazione come inviato delle Iene nei panni di un abitante dell’Italia settentrionale in Sicilia, esperienza durante la quale lui, palermitano di nascita, chiedeva cibo o altro ad i suoi interlocutori storpiando la pronuncia siciliana dell’oggetto richiesto.

Il giornalista Sky Alessio Viola chiede all’attore l’origine del suo nome artistico di Pif  ed egli conferma che il primo a chiamarlo così è stato la “iena”  Marco Berry nel corso di un viaggio di lavoro.

Viola ricorda poi il suo programma “Il testimone”, programma che racconta da vicino i dettagli di vita quotidiana di personaggi legati a sport, politica, spettacolo sempre su MTV, chiedendogli come lo abbia pensato. Pif risponde che, maniacale ed un po’ egocentrico quale ammette di essere, ha deciso di intervistare politici, imprenditori e persone qualunque, da solo e armato di una telecamerina, scegliendo, di volta in volta, da regista, le inquadrature migliori, organizzando pause e circostanze particolari.

Il giornalista Viola ha poi ricordato il suo racconto “Sarà stata una fuga di gas” in Dove Eravamo. Vent’anni dopo Capaci e via D’Amelio, in commemorazione dei 20 anni dalla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. In merito alle morti dei due magistrati ed in particolare di Borsellino, Pif si chiede e chiede al potere del tempo, come sia potuto accadere che egli sia stato lasciato solo nella sua guerra alla mafia quando, dopo la morte di Falcone, si sapeva benissimo che sarebbe toccata a lui.

Lo stesso Borsellino, ricorda, cercava di non abbracciare i figli perché non sentissero troppo la sua mancanza quando sarebbe morto, perché lui sapeva che lo avrebbero ammazzato, ma lo sapevano tutti e allora perché è stato lasciato solo?  Chiede Pif accalorandosi.

In maniera leggera, ma un po’ impertinente, Viola gli chiede dei suoi rapporti con lo scultore danese, rivale di Canova, Bertel Thorvaldsen e della sua discendenza dal personaggio.

Pif risponde che in famiglia era zio Alberto, come egli stesso aveva deciso di farsi chiamare durante il suo soggiorno a Roma e ricorda di un ritratto che lo raffigurava, immagine sotto la quale egli giocava sotto lo sguardo serioso dell’artista scultore, personaggio perciò familiare che lo ha portato spesso a visitare il Museo Thorvaldsen a Copenaghen.

Di se stesso Pif ha raccontato di come gli piace mettere in crisi, graffiare la realtà, ma con l’onestà intellettuale di un siciliano educato all’onestà e al rispetto delle regole.

All’intervista è poi seguita la proiezione del suo film del 2021: “E noi come stronzi rimanemmo a guardare”, commedia satirica con elementi fantascientifici in cui la tecnologia è vista come nuova forma di caporalato, proiezione che il pubblico, nonostante la pioggia incipiente, ha gradito ed applaudito.