Guerra Russia-Ucraina, bambini diventati bottino di guerra

Guerra Russia-Ucraina, bambini diventati bottino di guerra

AttualitàPolitica

Ogni guerra è una catastrofe umana, sociale, ambientale ed economica, eppure sono circa 59 i conflitti attualmente in corso in tutto il mondo. Si combatte per cause politico-militari, per cause territoriali, economiche ed anche religiose, ma nessuno dei combattenti si pone mai il problema degli “effetti collaterali” del conflitto, in modo particolare di quanto debbano subire le popolazioni civili ed in particolare i bambini.

E’ ciò che sta accadendo nella guerra russo-ucraina, uno scontro assurdo e immotivato, nonostante le giustificazioni che il Presidente russo Putin accampa, un conflitto che sta distruggendo un paese, la sua popolazione e soprattutto sta minando profondamente la serenità e il futuro della sua infanzia.

AssoCareNews

Sarebbero, al momento, circa 243 i bambini uccisi in questi oltre cento giorni di guerra nel paese slavo, mentre sono almeno 190mila i bambini deportati in Russia dall’inizio della guerra. Molti di questi ultimi erano ricoverati in ospedali, in orfanotrofi o facevano parte delle migliaia di persone in fuga dalla guerra, ma senza più genitori o familiari che li accompagnassero.

Al momento pare siano quasi 200mila i bambini deportati in Russia dall’inizio del conflitto, di essi 1700 sono soli, bottino di guerra dei vincitori, di quasi tutti loro si sono perse le tracce, un’infanzia rubata alla loro terra di origine e alla loro storia, avviati all’inserimento in famiglie russe ed a consolidare una strategia per arginare il declino demografico.

La Russia nega le accuse di deportazione forzata dei minori ucraini, ma sono sempre più numerose le famiglie che, attraverso i social, chiedono notizie sui loro bambini scomparsi. Un sito di informazione indipendente Verstka, è riuscito però ad individuare alcuni luoghi in cui dovrebbero trovarsi i bambini scomparsi, ospitati lì in attesa di venire assegnati a famiglie di tutto il territorio russo.

I principali centri di raccolta si trovano, sempre secondo il sito Verstka, a Rostov sul Don, sul mare di Azov, a Kursk ed anche in luoghi molto lontani dall’Ucraina come Nizhni Novgorod.

La Stampa

Sono bambini che sono stati prelevati da Mariupol e dal Donbass, alcuni si trovavano in ospedale, altri si erano persi durante i bombardamenti. Che siano bambini ucraini è confermato dalle autorità di Rostov, essi però parlano di bambini “salvati” dai militari russi e portati in territorio russo per allontanarli dai luoghi di guerra, specificando inoltre che si tratta di orfani.

In realtà molti di loro hanno ancora almeno un genitore che potrebbe accudirli e che li cerca ancora affannosamente.

Secondo quanto affermato da Maria Lvova Belova, Commissario presidenziale per i diritti dell’infanzia della Russia, alla stampa nazionale, l’affido alle famiglie russe è un atto solo temporaneo, dovuto al fatto che non c’è abbastanza posto per tutti negli orfanotrofi del paese. Contemporaneamente le autorità si stanno preoccupando di fornire, al più presto, ai bambini raccolti, la cittadinanza russa, cosa che consentirebbe la piena e legittima adozione da parte delle famiglie affidatarie.

Secondo il Presidente ucraino  Volodymyr Zelensky, i russi hanno prelevato con la forza i bambini del Donbass e di Mariupol, per loro era possibile solo una scelta: andare in Russia o morire.

Secondo la Commissaria per i diritti umani della regione di Rostov, Irina Cherkasova, i bambini “frequentano organizzazioni educative in conformità di programmi che tengano conto del loro livello di istruzione e del loro stato di salute”. Il sito Verstka però rivela che la struttura dove sono ospitati  circa 400 minori, ragazzi dai 2 ai 18 anni,  la Romashka, in russo “camomilla”, non riesce  a dare ai piccoli ospiti ciò di cui hanno bisogno, “adesso mancano dei bisogni di base: dai prodotti per l’igiene personale a quelli di cancelleria che servono per le attività scolastiche”.

Secondo due volontari che sono riusciti a parlare con il sito in forma di anonimato, le attività che si svolgono all’interno delle strutture sovietiche, incentivano la conoscenza della storia e della cultura russa, in un processo di russificazione che somiglia molto ad un Videla russo.

Se la russificazione è una pratica che risale all’età degli zar e poi ripresa da Stalin, collegata alla pratica delle purghe e delle deportazioni, ora essa è tornata in auge con la politica di Putin che ha firmato un “ukaze”, un editto, che consente di fare bottino di guerra anche l’infanzia della nazione aggredita.

Come scrive Federico Fubini su Il Corriere della sera: “L’obiettivo è russificare a forza gli orfani e i minori strappati ai loro genitori in Ucraina, obbligarli a un giuramento di adesione e fedeltà al regime che ha distrutto le loro famiglie, dar loro nuove madri e padri schierati con l’esercito che sta oggi devastando le loro terre. L’intenzione dell’ukaze di Putin è fare dei piccoli ucraini senza più genitori — migliaia di loro nelle regioni sottomesse — giovani russi che in futuro potranno unirsi all’esercito di Mosca. Anche per questo l’invasore porta via tutto ciò che può, finché può, mentre ancora la guerra infuria”.

Gli ucraini, a seguito di diverse ondate di russificazione, sono un popolo bilingue, con profondi legami con la cultura russa, ma già da alcuni anni, precisamente dal 2014, anno della rivoluzione ucraina nota come rivoluzione Maidan, hanno messo in pratica un processo di de-russificazione, il tutto per recuperare la loro lingua e la loro storia patria.

Il Parlamento ucraino ha votato in merito, due leggi che vieteranno la stampa di libri da parte di cittadini russi e contemporaneamente l’importazione di libri stampati in Russia e di libri in russo provenienti da qualsiasi altro paese.  Sarà inoltre vietata la riproduzione di musica da parte di cittadini russi sia sui trasporti pubblici che sui mezzi di comunicazione mentre, attraverso televisione e radio, saranno consentiti solo brani musicali in lingua ucraina.

Guerra dunque non solo di armi, ma anche di cultura, scontro intellettuale ed egoistico che però si macchia di sangue e, soprattutto, dimentica e cancella i diritti dei minori, di quella umanità che invece andrebbe protetta salvaguardando la loro innocenza ed anche la loro storia umana e familiare.

L’8 Marzo e la guerra delle donne ucraine e russe

L’8 Marzo e la guerra delle donne ucraine e russe

Attualità

Triste 8 marzo 2022, un anniversario che ha sempre ricordato come esista un macigno che si contrappone sul percorso della dignità delle donne e dell’affermazione dei suoi diritti, ma ancor più triste oggi alla luce di una guerra incomprensibile e brutale che pretende la cancellazione di un popolo, tutto in nome dell’orgoglio autoritario e prevaricatore di un individuo che pretende di agire in nome della sua gente.

Da sempre le donne sono state vittime e protagoniste di guerre, volti di paure, sgomento, angoscia, ma anche di forza e capacità di resilienza, martiri di un sistema bellico voluto e guidato da uomini che hanno lasciato alle donne l’incombenza di proteggere i loro figli, i loro cari e le loro storie.

Siamo alle soglie di un 8 marzo che si sarebbe dovuto celebrare all’insegna dei diritti delle donne, invece siamo di fronte ad una nuova emergenza e cioè al bisogno della pace, della protezione della vita, della difesa non solo dei diritti delle donne ucraine, improvvisamente in fuga con i loro figli verso una salvezza lontana dalle loro case e dalle loro famiglie, lontane dai propri compagni rimasti a combattere, ma dei diritti di ogni essere civile

Giornale di Sicilia

Si tenta di decidere tregue difficili e complesse, ma chi siede intorno ai tavoli del confronto tra aggrediti e aggressori? Attorno a quei tavoli di guerra russi e ucraini non ci sono donne, solo uomini che si confrontano in un contrasto che ha poche speranze di accontentare tutti. Solo uomini anche nei consigli di guerra che si svolgono a Mosca, generali con le mostrine, consiglieri e dirigenti dei servizi segreti in abito scuro, eccezione è la presenza di una sola donna: Elvira Nabiullina, governatrice della Banca centrale russa, unica donna, che però evitava di guardare lo zar e unico volto contrariato tra decine di volti maschili annuenti.

Non ci sono dunque donne dove si decide di bombardare località e gente in fuga, di stabilire misure di emergenza o nuovi confini, le donne sono altrove, straordinarie, nell’uno e nell’altro fronte, nel loro antico ruolo di difendere, a mani nude, gli affetti, i bisogni essenziali, l’esistenza e l’amore della vita.

Ecco allora la madre russa che parla straziata con il proprio figlio fatto prigioniero dagli ucraini, un ragazzino mandato a combattere una guerra di cui non conosce le ragioni, o quella che legge l’ultimo messaggio su WhatsApp del proprio figlio morto, lontano da lei e che non può più proteggere. Donne ucraine che fuggono per salvare le proprie creature dall’illogico conflitto come Nina, che incinta al nono mese è dovuta scappare da Kiev, mentre attorno a lei piovevano bombe, per arrivare a Como dopo due giorni di viaggio terribile e dare alla luce la sua bimba.

Come Elena, ucraina che lavorava in Sicilia e che, allo scoppio della guerra è tornata in patria per portare in salvo, dopo un viaggio inverosimile, la sua figlia maggiore o come Tania, mamma di un ragazzo affetto da sindrome di Down, che ha trasformato il corridoio della sua casa di Kiev in un bunker dove tenere suo figlio, impossibilitato a essere portato in un rifugio,  mentre tutto attorno a lei esplodono bombe e la sua casa trema, ma non il suo coraggio e la sua determinazione a difendere ciò che ha di più caro. 

Come non ricordare le infermiere dell’ospedale pediatrico Okhmadet di Kiev che continuano ad accudire i piccoli degenti, malati di cancro, nei sotterranei dell’ospedale?

Donne che abbracciano i loro figli nelle metropolitane affollate, sui treni stracarichi di umanità disperata, per le strade, dove l’unico rumore è quello di proiettili invisibili che uccidono, donne che trascinano bagagli improvvisati, ma essenziali, che giocano con i bambini in un angolo del rifugio per far dimenticare loro la paura, il freddo e la fame.

Donne ucraine che fuggono e piangono mentre giungono nei Paesi confinanti maledicendo la guerra e i loro artefici, mentre i loro uomini vengono impegnati nella resistenza agli invasori, ma anche donne russe che vengono malmenate ed arrestate dalla polizia perché marciavano contro la guerra.

Fanpage

Ovviamente ci sono donne che combattono sia tra le fila russe che ucraine, tra queste ultime donne e bambine che, nelle retrovie, preparano bombe molotov nelle città minacciate  per fare fronte ai carri armati nemici in arrivo o per fronteggiare i cannoni che distruggono il loro mondo ed i loro cari, ma tutto questo avviene lontano dalle stanze in cui si decide la guerra, dai luoghi dove la sofferenza umana conta poco, dove l’unica cosa importante è ridisegnare i confini, controllare i territori, usare le armi giuste per mettere a tacere i nemici, catturare i nemici. 

Europa Today

Ci sono anche donne che però hanno deciso di “combattere come gli uomini”, a Mariupol, città sotto assedio a cui manca da giorni elettricità e acqua,molte donne di tutte le età hanno imbracciato il fucile e hanno deciso di difendere la città seguendo il motto “Contro Putin e patriarcato”, una scelta dolorosa, ma necessaria per cercare di salvare il proprio mondo da un’aggressione violenta e ingiustificata.

Noi vogliamo dedicare questo 8 marzo a tutte le donne, di ogni nazionalità, che stanno salvaguardando la vita di chi li circonda anche a costo della propria, pensando solo agli affetti più cari, al loro benessere e alla pace, rifiutando ogni logica di inutile violenza.

Per questo motivo pensiamo dunque che l’8 marzo 2022 deve diventare, in questo tragico momento dell’Europa e dei diritti umani universalmente calpestati, una pietra miliare nella memoria della storia delle donne, non in quanto individui di un genere particolare, ma come persone che rifiutando ogni forma di sopraffazione e sottomissione personale, sia civile che fisica, rifuggono anche la logica disumana della violenza e che, forti della propria storia di “àncora nella tragedia di ogni guerra”,  considerano la guerra degli uomini un gioco insensato che contraddice l’amore per la vita.