Il femminicidio nella recitazione di “Sepolte” al Teatro Comunale di Benevento

Il femminicidio nella recitazione di “Sepolte” al Teatro Comunale di Benevento

AttualitàBenevento

Donne vittime di violenze da parte di uomini falsi e marci che, sentendosi padroni delle proprie donne, le hanno dapprima lusingate con dichiarazioni di amore e poi picchiate fino alla morte, questo il tema delle storie lette e recitate da Francesca Castaldo, Monica Carbini, Giusy De Rienzo e Alda Parrella nella serata di sabato 25 novembre, in occasione della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne, all’interno del Teatro Comunale “V. Emanuele” di Benevento.

La rappresentazione è stata realizzata su testi e regia di Francesca Castaldo con un commento musicale del M° Umberto Aucone che ha accompagnato, enfatico, l’intero spettacolo

Occasione importante di riflessione sulla condizione femminile nei rapporti di genere, momento di valutazione di legami malati da parte di uomini che, nel rapporto con le loro donne, lottano contro se stessi, contro le loro fragilità, insicurezze e vulnerabilità e per questo fanno della propria donna un oggetto di rivalsa e ritorsione, fino a ridurla in una condizione di sudditanza fisica e psicologica e, in moltissimi casi, portarla alla morte.

Pur in un teatro semivuoto e lo diciamo con rammarico e amarezza riflettendo sul fatto che la rappresentazione non era né divertente, né scollacciata e tanto meno opera famosa e dunque per molti di modesto interesse, forse anche complice le cattive condizioni atmosferiche, le significative letture/recitazioni hanno dato comunque voce alle storie di tante donne vittime di brutalità da parte di uomini che pensavano essere compagni di vita, amici e amanti  che si sono  scoperti poi crudeli carnefici, seviziatori e presunti padroni della vita della propria donna.

Molte di queste donne, quelle sopravvissute ai loro aguzzini, hanno trovato il coraggio di denunciare e raccontare le loro storie, per ritrovare se stesse ed il loro equilibrio interiore, ma soprattutto per essere accanto alle tante che non denunciano per paura, bisogno economico, convinzione di essere responsabili, in parte o completamente, del cattivo comportamento dei loro uomini, ma soprattutto per aiutare tante a riconoscere per tempo i segnali di pericolo e rischio di un rapporto malato.

Storie dunque di denuncia, ma anche di riscatto da parte di chi, sopravvissuta alle violenze fisiche e psicologiche, ha trovato la forza di urlare il proprio disprezzo verso chi l’ha ingannata per troppo tempo ed ha cercato di annientarla come persona e come essere umano, verso chi ha stravolto la loro vita nel tentativo di annichilirle anche mentalmente.

Ci amareggia però pensare che si racconta tanto di violenza di genere, ma la società spesso si è stancata di parlarne, le manifestazioni in merito sono fatte da poche organizzazioni e da volontarie che non vogliono tacere. Noi ci chiediamo allora: “Dove sono gli uomini a protestare”?  Sono sempre troppo pochi quelli che, accanto alle donne, pur con convinzione, dichiarano il loro disprezzo verso questi esseri violenti e fuori dal tempo e dalla società.

 Secondo noi dovrebbero essere invece proprio gli uomini, insieme alla società civile tutta, in prima fila a condannare comportamenti a-civili ed a-morali, a lottare, accanto alle donne, nella battaglia per il rispetto della dignità di ogni essere umano, senza distinzione di genere.

Riteniamo infatti che i primi ad essere “violentati” da tali comportamenti siano proprio tutti gli uomini, se infatti si contano nel numero, troppo grande, le donne vittime, sono gli uomini nel loro insieme che perdono dignità, rispettabilità, fierezza ed onorabilità.

Quella dei sopraffattori e violentatori è infatti una mascolinità malata, una virilità menomata che non affascina, una condizione di malattia, un male oscuro che penetra nelle radici dell’individuo e  che tutta la società dovrebbe curare, imponendo anche leggi che stabiliscano l’educazione di genere e, al di là di quelle, giuste ed opportune, a tutela di animali, ambiente, cibo, luoghi di lavoro e quant’altro, stabiliscano punizioni esemplari a quanti offendano o colpiscano le donne, queste ultime finalmente considerate esseri umani con pari diritti rispetto all’universo maschile e non “femminucce piagnucolose” che, per capriccio, pretendono rispetto per la loro dignità.

Nella rappresentazione dunque, le bravissime interpreti, hanno raccontato della violenza a lungo mascherata di amore, l’abisso di un odio che ha come suo obiettivo chi dovrebbe proteggere e portare nel cuore, perché gli uomini che odiano le donne sono miserabili senza spina dorsale, fragili esseri umani che non vogliono essere amati, ma solo venerati imponendo il silenzio e l’obbedienza da parte di chi, in fondo, temono come loro superiore e per questo devono tacere, magari per sempre.

La morte di Giulia Cecchettin, non ultima di oltre 100 donne ammazzate dai loro uomini solo in questo anno, ha rappresentato la goccia che fa traboccare il vaso, già stracolmo, di una reazione delle donne verso questi uomini “bambocci boriosi ed arroganti di una società malata” che è necessario ridurre al silenzio, anche fisico, perché la loro esistenza offende, non solo le donne, ma tutti gli esseri umani.

Ricordando allora le parole del Presidente della Repubblica Mattarella in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne: “Una società umana, ispirata a criteri di civiltà, non può accettare, non può sopportare lo stillicidio di aggressioni alle donne, quando non il loro assassinio. La pena e il dolore insanabili di famiglie e di comunità ferite sono lo strazio di tutti”, riteniamo che sia  giusto allora raccontare, denunciare, protestare senza mai fermarsi, come hanno fatto le nostre donne/attrici nella serata di sabato e di questo non possiamo che dire loro: grazie.

Lo Stato colpisce duramente la Mafia, arrestato Matteo Messina Denaro

Lo Stato colpisce duramente la Mafia, arrestato Matteo Messina Denaro

CronacaItalia

Arrestato dai carabinieri del Ros, dopo 30 anni di latitanza, il pluriomicida e boss della  mafia Matteo Messina Denaro.

Il mafioso è stato arrestato mentre si trovava all’interno della clinica privata La Maddalena di Palermo per sottoporsi ad un ciclo di chemioterapia, dopo un intervento subito un anno fa. Era presente sotto falso nome e precisamente come Andrea Bonafede.

Alle domande dei carabinieri del Ros sulla propria identità ha risposto identificandosi subito come Matteo Messina Denaro ed ha seguito gli stessi nell’atto di arresto.

U siccu”, come era chiamato, aveva avuto un ruolo importante nella pianificazione degli attentati del ’92-’93, anni difficili dello Stato italiano, anni della morte di Falcone e Borsellino, l’assassinio dell’amico della mafia  Salvo Lima, il vicerè di Andreotti in Sicilia, anni dell’attentato con morti dei Georgofili, di Milano, delle bombe davanti alle chiese di San Giorgio in Velabro, di San Giovanni in Laterano, del governo Cossiga, della trasformazione del partito del Pci in Pds, della fine della Democrazia Cristiana, dell’arresto di Mario Chiesa e dell’inizio di Tangentopoli.

Anni difficili, all’interno dei quali la mafia ha tramato per coprire e favorire i propri interessi, ma anche il momento dell’arresto di Totò Riina e del salita all’apice del potere mafioso di Matteo Messina Denaro.

Tanti i delitti di cui si è reso responsabile, ma sicuramente quello più efferato è stato l’assassinio del giovanissimo Giuseppe Di Matteo, un dodicenne figlio di Santino Di Matteo, ex mafioso, che in quei giorni aveva deciso di collaborare con la giustizia. Il corpo del ragazzo non fu mai ritrovato perché era stato sciolto in un fusto di acido nitrico.

Il boss, arrestato nella mattinata di lunedì, era considerato il successore di Totò Riina, condannato per decine di omicidi compresi quelli di Falcone e Borsellino, ma fuggiasco dal 1993 quando, per l’ultima volta, fu visto a Forte dei Marmi.

 La cosa più assurda però è stata che per anni il criminale ha circolato liberamente per il paese e per il resto del mondo, senza mai trovare intoppi sui suoi spostamenti, tante le talpe che lo avvisavano della presenza delle forze dell’ordine, ma cosa ancora più grave, tante le connivenze che gli hanno consentito la lunga la latitanza: politici, medici, professionisti che, affiancando la mafia, gli hanno consentito di vivere la sua vita senza problemi.

Nando Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, trucidato dalla mafia il 3 settembre del 1982, ha dichiarato che “questo arresto dimostra che non esistono gli imprendibili e neppure gli invincibili” mostrandosi contento che ad arrestare il boss siano stati i Ros, nucleo investigativo dell’Arma dei Carabinieri con competenza sia sulla criminalità organizzata che sul terrorismo, voluto proprio da suo padre Carlo Alberto.

Importante rilevare che la gente di Palermo, pazienti del nosocomio e loro familiari, hanno accompagnato l’arresto applaudendo  convinta e felice del fatto che lo Stato sa sconfiggere la mafia gridando : “Bravi, bravi”. D’altra parte la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel ’92, aveva già dimostrato che la mafia aveva paura che lo Stato fosse più forte del previsto e che potesse sconfiggerla.

In questi trenta anni però il Denaro, oltre a scampare alla cattura, ha anche accumulato una grande ricchezza, il patrimonio attribuito a lui e finora sequestrato, ammonta a circa 7 miliardi di euro. Denaro che gronda sangue, grazie alle tante connivenze che gli hanno permesso di continuare i suoi affari indisturbato e sfuggendo alla giustizia.

Il Presidente Mattarella, nel congratularsi con il ministro degli Interni Matteo Piantedosi e il Comandante dell’Arma dei Carabinieri Teo Luzi, ha commentato l’arresto dichiarando che tale atto è stata una vittoria della democrazia e della Repubblica.

La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nel congratularsi con i carabinieri per l’arresto ha dichiarato : “ Il governo assicura che la lotta alla criminalità mafiosa proseguirà senza tregua”.

Non possiamo che condividere le parole di quanti si dicono lieti dell’arresto perché, se la giustizia ha, come dice Socrate, una valenza universale propria di quella parte dell’anima dove risiedono la ragione e la saggezza, siamo lieti che, in questa occasione, ragione e saggezza abbiano vinto sulla follia criminale e sulla sua ottusità.

Le “pietre di inciampo” e la memoria di un tempo che non si può abbandonare all’oblio

Le “pietre di inciampo” e la memoria di un tempo che non si può abbandonare all’oblio

AttualitàCulturaDall'Italia

Gunter Demnig è stato l’artista che ha dato vita alle “pietre di inciampo” nel 1947 per ricordare le vittime del nazismo e del fascismo in Europa. La prima pietra di inciampo (“Stolperstei” in tedesco) fu posta in Germania a Colonia nel 1992 per ricordare la deportazione dei rom e dei sinti della stessa città per mano dei nazisti.

 Quando una donna del luogo disse all’artista, meravigliata, che in quel luogo non avevano mai abitato rom e sinti, strano per una persona che era vissuta lì durante il periodo nazista, Demnig si rese conto che molti non conoscevano la storia di chi gli abitava vicino, o forse non voleva ricordare e per questo decise che fosse necessario collocare altre pietre di inciampo in Europa per impedire l’oblio, il negazionismo o l’indifferenza verso una tragedia come quella della cancellazione fisica e mentale di milioni di individui. Per questo motivo Gunter Demnig ha posato oltre 75mila pietre d’inciampo nella maggior parte dei paesi europei, più di mille delle quali si trovano in Italia.

Le pietre di inciampo sono piccole pietre di ottone, poste davanti al luogo dove vivevano le persone deportate nei campi di sterminio nazista e fascista e che recano in superficie il nome della persona deportata ed il luogo dove fu uccisa.

Ricordare è un dovere di civiltà. Auschwitz fu una spaventosa macchina di morte”, queste le parole del Presidente Mattarella in merito alla “Giornata della memoria” che, ogni anno, si celebra il 27 Gennaio, in Italia dal 2001, giorno designato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 1 novembre 2005 per ricordare l’ingresso delle truppe dell’Armata rossa nel campo di sterminio di Auschwitz, luogo dove esse scoprirono un campo di concentramento, le atrocità là commesse e liberarono gli ultimi prigionieri superstiti.

E’ necessario ricordare che in quei luoghi di morte, atrocità e umiliazione fisica e spirituale furono cancellate 15 milioni di persone di cui circa sei milioni di ebrei.  

Perché dobbiamo ricordare? Non sarebbe meglio dimenticare a andare avanti? Il problema è che senza memoria di ciò che siamo stati, senza radici da cui assorbire le nostre certezze saremmo foglie nel vento, un unico, lungo e tragico attimo senza prospettive e futuro, perché senza conoscenze e certezze pregresse che ci consentano di costruire il domani.

La memoria è dunque lo strumento grazie al quale conserviamo la consapevolezza di ciò che eravamo e la prospettiva di ciò che vogliamo essere.

Senza di essa, come ci insegna il filosofo Nietzsche, saremmo come  “il gregge che pascola di fronte a te: non sa che cosa sia ieri, che cosa sia domani, salta di qua e di là, mangia, riposa, digerisce, salta di nuovo, e così dalla mattina alla sera, giorno dopo giorno, poco legato al suo piacere e alla sua svogliatezza, cioè al paletto dell’istante, e perciò né malinconico né annoiato.”

Il problema, dice sempre Nietzsche, è che “ È doloroso per l’uomo vedere questo, perché egli si pavoneggia della sua umanità di fronte all’animale e, nonostante ciò, osserva con invidia la sua felicità, perché questo solo egli desidera: vivere come l’animale né annoiato né soggetto al dolore……” .

Poiché però noi non siamo come l’uomo nietzschiano che invidia il gregge né annoiato, né malinconico e siamo abituati invece a sognare, a progettare e amare il mondo che ci circonda, abbiamo bisogno di ricordare, perché solo così facendo possiamo evitare di sbagliare ancora e imparare a fare meglio, tutto per riuscire ad affrontare situazioni di vita presente e futura.

“Ricordare è una espressione di umanità, ricordare è segno di civiltà, ricordare è condizione per un futuro migliore di pace e di fraternità, ricordare è anche stare attenti perché queste cose possono succedere un’altra volta, incominciando dalle proposte ideologiche che vogliono salvare un popolo e finendo a distruggere un popolo e l’umanità. State attenti a come è incominciata questa strada di morte, di sterminio, di brutalità”, queste le parole di Papa Francesco in merito al Giorno della memoria per ricordare le vittime della Shoah.

Micromega

Il ricordo deve essere dunque parte di noi, la memoria delle vittime del nazismo e dello sterminio crudele e anaffettivo di milioni di nostri simili, di provvedimenti razziali e anacronistici come le leggi che lo Stato italiano varò nel 1938, l’odio programmato e implacabile verso chi di diversa religione o pensiero, l’egocentrismo feroce e miope dell’idea di una supremazia razziale e/o politica, deve necessariamente insegnarci qualcosa se vogliamo costruire un futuro migliore e, pur non illudendoci che tutto il male del passato non possa ripetersi, abbiamo il dovere di fare in modo che uomini e donne come noi che  ignorano o non vogliono ricordare, facciano i conti con un passato di scelte tragiche che ci rifiutiamo di rivivere e imparino dalla storia precedente.

I sopravvissuti di quei tragici eventi sono ormai sempre meno di numerochi parla ha avuto il privilegio di ascoltare Sami Modiano ed altri-  il tempo porta via le loro persone, ma non i loro ricordi; tanti hanno avuto il coraggio di raccontare, si perché è necessario tanto coraggio a ricordare momenti strazianti e dolorosi, rivivere attimi di orrore per dare voce, non a se stessi, ma a coloro che non hanno avuto la possibilità di parlare, ai tanti che, nell’indifferenza dei loro carnefici, hanno vissuto un’esperienza estrema e sono scesi negli abissi dell’umanità.

Le pietre dell’inciampo, un inciampo emotivo e mentale, devono servire a mantenere viva la memoria delle vittime dell’ideologia nazi-fascista nei luoghi della vita quotidiana – le loro case- obbligando chi passa, a riflettere su ciò che è accaduto in quel luogo, in quella data ed a ciò che è successo a quelle persone.

Guida Torino

Oggi, nel selciato di oltre2.000 città europee di cui molte italiane, sono state installate tante pietre dell’inciampo, sono in tutto circa 70.000 schegge di ottone e di vita che ci ricordano le speranze, i sorrisi i sogni di chi, crudelmente e assurdamente, con un numero di matricola inciso sulla pelle, non c’è più ……..per non dimenticare.