Uomini che odiano le donne: i Talebani cancellano le donne

Uomini che odiano le donne: i Talebani cancellano le donne

Attualità

Uomini che odiano le donne: questa la condizione che oggi è stata imposta in Afghanistan dal nuovo potere dei Talebani, guerriglieri di ispirazione islamica.

I Talebani nel 1994 avevano combattuto tra i mujaheddin nella guerra contro i sovietici e, con l’appoggio degli Usa a cui interessava solo che fossero cattivi, determinati, antidemocratici e antisovietici – che le loro donne fossero costrette a portare il velo integrale importava poco -, arrivarono al potere.

Dopo l’attentato alle torri gemelle, per quasi venti anni,  gli americani e la NATO sono andati in Afghanistan esportando in quel luogo, con la loro presenza, modelli democratici di convivenza che avevano permesso alle donne di riaffermare i loro diritti. Nel 2020 però il governo americano, nella persona di Donald Trump, ha sottoscritto l’accordo di Doha con il quale si impegnava a porre fine al conflitto armato in Afghanistan, a condizione che cessino attentati contro le forze internazionali, disponendo il ritiro delle forze armate statunitensi dal paese entro il 31 agosto 2021.

I Talebani sono dunque tornati al potere e con essi un sistema di paura e repressione verso ogni forma di opposizione e soprattutto verso le donne. Giorni durissimi sono iniziati in Afghanistan per tutte le donne, giorni che riportano alla mente le pagine de “Il cacciatore di aquiloni” di Khaled Hosseini, quando Amir torna a Kabul dopo anni e trova il disastro: gli aquiloni non volano più e le donne sono diventate invisibili.

Molti non sanno che negli anni ’70 il paese asiatico era la destinazione hippie per eccellenza e che approvò anche il suffragio femminile prima di tanti altri paesi; all’epoca le donne potevano vestirsi come volevano senza paura di essere punite e potevano votare e studiare nei college e nelle università.

Oggi, a causa di una lettura estremista della sharia, l’intera popolazione femminile è condannata all’analfabetismo, è obbligata ad indossare il burqua quando esce di casa, cosa che può fare solo se accompagnata da un uomo di famiglia, il mahram, l’uomo che le ha in carico e che permette l’uscita,  e la loro opinione non conta nulla, sia nella sfera privata che in quella pubblica.

In migliaia, nei giorni precedenti l’abbandono degli americani e uomini della NATO da Kabul , si sono ammassati presso l’aeroporto della città nella speranza di trovare un volo che consentisse loro di fuggire dal loro paese e dal nuovo governo talebano, cittadini comuni, ma soprattutto quanti avevano collaborato con le forze internazionali nell’ultimo ventennio.

Oggi a Kabul le donne non tornano al lavoro, il nuovo sindaco della città ha detto alle donne :” State a casa”! Teniamo conto però che a Kabul un terzo dei tremila impiegati comunali sono donne!

Il nuovo governo afghano è fatto di soli uomini che hanno fatto piombare la scure delle proibizioni alle donne in maniera pesante. E’ vietato alle donne di praticare alcuno sport, neppure il cricket, gioco nazionale. Un esponente talebano ha infatti affermato: “ Non credo che alle donne sarà consentito di giocare a cricket, perché non è necessario che le donne giochino a cricket poiché nel gioco potrebbero dover affrontare situazioni in cui il loro viso o il loro corpo non siano coperti”, dunque le afghane non potranno più praticare alcuno sport che “esponga i loro corpi” o le mostri ai media. Alle afghane, ha aggiunto Wasiq, sarà consentito uscire di casa solo per soddisfare i “bisogni” essenziali, come “fare la spesa”, e lo sport non è tra questi. Come non lo è manifestare.

E’ stato introdotto anche il divieto di ogni manifestazione senza un’autorizzazione da chiedere almeno 24 ore prima comunicando tutti dettagli, infatti il nuovo governo dei mullah ha  affermato che : “Le proteste disturbano la vita normale, molestano le persone e creano problemi di sicurezza”.

Nella capitale dell’Afghanistan sono all’ordine del giorno scene di donne picchiate in strada perché manifestano contro il nuovo potere e per i loro diritti calpestati dai talebani ormai al potere, tanti i sit-in in diverse città come Kabul e Mazar-i-Sharif, a farne le spese anche i giornalisti, cinque di loro sono stati fermati e frustati.

Tanti i cronisti locali e stranieri, molti ovviamente donne,  che sono stati trattenuti per ore dalla sicurezza talebana per impedire loro la copertura mediatica delle riprese.

Ahmad Massoud, leader della resistenza, ha definito il nuovo esecutivo “un segno dell’ostilità contro il popolo afghano”ed è tornato a denunciare i massacri dei civili nel Panshir, mentre decine di donne sono scese in piazza nella capitale per denunciare la loro esclusione da tutti ruoli di governo e la cancellazione del ministero degli Affari femminili.

Nel frattempo tante le donne uccise per i lavori che svolgevano e che ora non sono più permessi. Tre giornaliste poco più che ventenni sono state uccise a Jalalabad, freddate con un colpo alla testa, Banu Negar Masoomi, agente di polizia afgana incinta all’ottavo mese, è stata uccisa nella sua casa davanti al figlio più grande che ha affermato:” le hanno tolto il cervello”. Due donne, giudici della Corte suprema, sono state assassinate mentre in macchina andavano al lavoro. Zahira, semplice ragazza afghana, ammazzata dai talebani perché indossava i jeans.

Un’imprenditrice di nome Laila, resta oggi nascosta e sta meditando di fuggire dal suo paese, tutto questo mentre le strade delle città si sono svuotate dalla presenza femminile, in giro si vedono solo uomini!

Humira Saqib, giornalista ed attivistaper i diritti umani per le donne, oggi si nasconde in un’area segreta di Kabul ed ha dichiarato: “ Chiediamo agli altri Paesi di lavorare per salvare la vita di attivisti, difensori dei diritti umani e giornalisti. Chiediamo che 20 anni di progresso non siano rovinati e che alle persone venga data una garanzia internazionale che proteggeranno le loro vite

In Afghanistan dunque è “caccia alle donne”, soprattutto quelle in vista, nella soddisfazione di un odio verso l’altro sesso che sa di paura di esso, di frustrazione nei confronti di un simile che potrebbe essere migliore ridicolizzando il proprio ruolo di “cecchino con il fucile”, tutto in una “pulsione sessuofobica”, come la definisce Massimo Recalcati, psicoanalista, saggista e accademico italiano, che “non tollera l’esistenza della donna come incarnazione della libertà”.

 Se la donna è libertà essa è dunque l’emblema del pluralismo e dell’anarchismo della democrazia, di quel mondo che i talebani odiano perché in esso non saprebbero vivere, non avrebbero ruolo, non sarebbero nessuno, perché solo nel buio del pensiero e dei sentimenti la violenza appare grande e ammaliante.

Noi non possiamo accettare che tale infamia sociale ed umana sia tollerata nel silenzio dei cosiddetti paesi civili, per questo crediamo che sia  necessario parlarne perché solo denunciando l’infamia possiamo sperare che essa venga soffocata.