Mosca: la delazione e gli adesivi gialli simboli di tradimento e arma dei totalitarismi

Mosca: la delazione e gli adesivi gialli simboli di tradimento e arma dei totalitarismi

Attualità

Sulla porta di un giornalista russo di Kaliningrad, critico nei confronti della guerra contro l’Ucraina, Aleksej Milovanov, è comparso, qualche giorno fa, un adesivo giallo con una scritta: “Qui abita un traditore”. La stessa cosa è accaduta davanti all’abitazione della sua amica  Oksana Akmaeva che, anch’essa per protestare e mostrare la propria contrarietà  alla spedizione militare in Ucraina, era scesa in piazza un mese fa.

Il ricorso all’uso degli adesivi gialli per “marchiare” coloro che non si allineano con le scelte del Cremlino, cammina di pari passo con l’incoraggiamento, da parte del governo, a promuovere la delazione e, con essa, l’identificazione pubblica di tutti coloro che compiono azioni considerate contrarie alle decisioni dello Stato.

Dalla protezione civile russa arriva, sull’app messaggistica Telegram, un invito ad “informare” in merito ad attività anti-patriottiche di persone amiche o anche di semplici vicini di casa. Tale appello ha condotto, in seguito ad un invito simile da parte del governatore della Carelia, un residente locale, tale Artur Parfenchikov, a pubblicare i nomi di politici, giornalisti ed attivisti oppositori delle scelte governative, come “dediti al crollo del paese” ed ha giustificato la sua scelta sostenendo che lo Stato fa bene ad “incenerire l’ingannevole  coalizione nazista guidata dalla Nato”.

E’ nato anche un nuovo progetto, “Chiedi a Bastrykin”, che ha come scopo la raccolta di informazioni su tutti i concittadini sospettati di attività antistatali e tale progetto giustifica la sua azione affermando che “Non si tratta di purghe, ma di amore del Paese”.

E’ dunque nato in Russia un “Grande fratello” che rivendica il diritto di identificare gli oppositori per farne tacere la voce e trasformarli in “nemici del paese”, una scelta che ricorda, in modo amaro, il contenuto di “1984”, il romanzo di George Orwell del 1948, che racconta di un mondo controllato da un potere totalitario, appunto un Grande fratello che però nessuno ha mai incontrato, ma che tiene costantemente sotto controllo i cittadini e la loro vita, mediante speciali teleschermi.

Siamo dunque alle soglie di nuove “Leggi di Norimberga” che, anziché definire il quadro giuridico antisemitico dello Stato, ne definiscono la sua collocazione anti-oppositore e ne sanciscono le sanzioni, non solo davanti alla legge, ma anche e soprattutto davanti alla società?

A quando l’obbligo di apporre, sul bavero degli abiti di coloro che si oppongono al governo, una stella gialla di amara memoria?

Adesivi gialli sulle porte di Mosca, un segno sprezzante e denigratorio per identificare chi la pensa diversamente da quanto proclamato, con enfasi politica, dallo zar Putin e da quanti lo circondano, un segno concreto e palese del fatto che lì abita un traditore della patria che vuole raccontare un’altra verità sulla guerra in Ucraina, qualcuno che vorrebbe raccontare i fatti, ma non può, pena multe, carcere, perdita del lavoro, scherno o peggio, parliamo in particolare dei giornalisti che, per pubblicare, debbono adattarsi alle sole verità prefabbricate del potere.

Il Totalitarismo ha bisogno di affermare la sua “Neolingua”, cioè l’insieme di parole che azzerano la memoria imponendo una lingua falsa che dice menzogne sulla realtà, ma poiché l’opposizione parte proprio dallo smascheramento pacifico del linguaggio del potere dittatoriale, usando l’informazione, la letteratura, la poesia, il teatro ed altri strumenti di pace, essa va fermata.

“Qui vive un traditore”, annuncia l’adesivo che informa i condomini della palazzina, ma informa anche il malcapitato che, da quel momento, deve temere aggressioni o anche peggio.

Ovviamente i caratteri di tale scelta politica è tipica di ogni totalitarismo, una dittatura che vede nella repressione e nel terrore lo strumento più diretto e raccapricciante del suo potere.  Ogni totalitarismo è infatti la negazione della libertà individuale, l’opposto del pluralismo democratico, la negazione  dell’esistenza dell’avversario politico, l’identificazione di esso come nemico e criminale che va eliminato.

Gestire il potere totale vuol dire anche manipolare le coscienze in modo da non avere ostacoli, monopolizzare i mezzi di comunicazione di massa al fine di indottrinare e trasformare la dottrina del regime in fede. Il totalitarismo è un potere onnipresente, quasi la telecamera-spia di “1984” di George Orwell che osservava tutti ed in ogni angolo della casa e del lavoro, un occhio spietato che penetra fin nei recessi della coscienza.

Putin ha parlato di “veri patrioti”, quelli che sanno riconoscere i “traditori” e sanno “sputarli come si fa con un moscerino volato accidentalmente in bocca e queste sue parole hanno spalancato le porte ad un mondo nel quale chiunque può diventare tuo nemico e dunque ti può ascoltare e denunciare.

Forte, ma limitata in patria la voce di Alexey Navalny, attivista, politico e blogger russo di origini ucraine, fra i più critici di Putin e della sua politica, infatti  le sue parole che pressano i russi a scendere in piazza e protestare contro l’invasione dell’Ucraina sono state classificate come “nuove accuse inventate”, anche per questo motivo  la sua pena è stata artatamente  e ulteriormente accresciuta. Ovviamente l’inasprirsi della pena funge da monito alla società civile russa o a chiunque  osi opporsi al Cremlino ed al suo padrone.

Alexey Navalny

In tanti chiedono il suo rilascio, dal portavoce del dipartimento di Stato Usa, Ned Price, a Hugh Williamson, direttore per l’Europa e l’Asia centrale di Human Rights Watch, all’Unione Europea che ritiene che Navalny stia già scontando una pena solo politicamente motivata.

Tante però le persone arrestate in Russia per aver manifestato contro la guerra. Secondo l’organizzazione per i diritti umani Ovd-Info in quasi 50 città del paese sono state arrestati oltre 3500 manifestanti.

A fronte delle proteste, il Presidente russo Vladimir Putin afferma che “le autorità ucraine sono banda di drogati e neonazisti” e questo lo autorizza ad invadere il paese. In realtà  il suo timore di un allargamento della Nato o comunque dell’Alleanza del Nord Atlantico nei pressi del confine russo, lo ha portato a decidere la guerra all’Ucraina, infatti, come tutti i despoti, il premier russo considera la violenza sinonimo di forza.

 In realtà è difficile sapere cosa voglia davvero Putin, l’unica cosa evidente è il suo revanscismo nei confronti di un occidente sempre più attrattivo da un punto di vista sociale e la sua volontà di non perdere il potere, cosa che lo accomuna a tutti i tiranni, ma soprattutto gli fa credere di poter infierire sui suoi concittadini con un adesivo giallo oltraggioso oltre che con  la violenza e la paura, pratica che, come ben descrive Hanna Arendt nella sua opera “Le origini del Totalitarismo”, accomuna tutti i totalitarismi.