L’esempio e il coraggio di Giancarlo Siani nella lotta alle mafie: ieri il corso organizzato dall’OdG della Campania

L’esempio e il coraggio di Giancarlo Siani nella lotta alle mafie: ieri il corso organizzato dall’OdG della Campania

Cultura

Tra le mura dello storico Palazzo De Simone di Benevento, si è tenuto, nel pomeriggio del 3 Aprile, un corso di formazione per gli iscritti all’Ordine dei giornalisti intorno al tema: “Legalità e contrasto alle mafie nel messaggio deontologico di Giancarlo Siani”; il corso stesso è stato promosso dall’Ordine dei Giornalisti della Campania e dall’associazione studentesca “Demmis Unisannio”

Presenti all’evento il Rettore dell’Unisannio Gerardo Canfora, il sindaco di Benevento Clemente Mastella, Antonella Tartaglia Polcini, assessore del comune alla Cultura e Valorizzazione Patrimonio Culturale, Giovanni Taranto, giornalista specializzato in cronaca nera, giudiziaria, investigativa nonché amico di Giancarlo Siani, Stefano Orlacchio, studente presso Università degli studi del Sannio ed esponente dell’associazione “Demmis Unisannio” e Paolo Siani, fratello di Giancarlo, tutti coinvolti e coordinati da Ottavio Lucarelli, Presidente dell’Ordine Giornalisti della Campania.

Il Rettore Canfora, ha ricordato come la camorra e la mafia siano ormai entrate nel sistema economico e sociale evitando gesti eclatanti e tragici come l’omicidio di tanti giornalisti, esponenti delle forze dell’ordine e magistrati, per meglio tessere le sue tele di intrighi ed interessi economici.

Ha ricordato poi come l’esempio di Giancarlo Siani sia, ancora oggi, modello di integrità necessaria e di professionalità del mondo della comunicazione.  Sulla stessa falsariga dell’intervento del Rettore,  ha preso la parola il sindaco Mastella che ha voluto ricordare quanto sia ancora attuale il lavoro di Giancarlo in un contesto in cui ancora sopravvivono ingiustizie, trame criminali e forme di sfruttamento, tutte “ingiustizie” denunciate coraggiosamente da Siani, sempre a caccia di verità e prove dei tanti reati della sua terra.

E’ intervenuto poi Ottavio Lucarelli, Presidente dell’Ordine Giornalisti della Campania, che ha voluto ricordare quanto sia importante la memoria di uomini come Giancarlo Siani, emblema di verità e voglia di legalità, nonché modello da esportare nelle scuole, ma anche di coraggio dettato dalla voglia di informare e far conoscere la verità anche a rischio della vita. Ha ricordato poi giornalisti come Giuseppe Tallino ed il suo pezzo sul “pentimento di Sandokan”, giovani giornalisti come Peppino Impastato o Giovanni Spampinato, esponenti della stampa che hanno perso la vita per aver voluto raccontare e far conoscere.

La Tartaglia Polcini ha poi ricordato come la memoria si incarna nella persona e nella penna di un giovane cronista che ha voluto comunicare valori attraverso la parola, arma potentissima che suscita interesse e che può distruggere o portare alla propria distruzione.

Giovanni Taranto ha ricordato il tempo nel quale era a caccia di notizie insieme a Giancarlo, lui più giovane, vedeva nell’amico un esempio, ma anche un ragazzo la cui storia deve essere raccontata, la sua passione per la verità, la sua tragica morte e le sentenze che hanno portato a condanne definitive. Era per lui un fratello nella redazione di Castellammare di Stabia e di Napoli, un giornalista che non era un professionista, ma che seguiva ed eseguiva con passione il suo mestiere.

Lo seguiva nelle sue inchieste presso il municipio, al commissariato, dai carabinieri, al pronto soccorso, consumando scarpe e sempre con un taccuino su cui annotare le notizie. Lavoravano con diversa competenza, ma lui era più bravo, giravano con lui alla guida della sua Mehari che Taranto ha chiesto più volte e inutilmente di guidare se non quando gli fu chiesto di portare, fra lacrime e dolore, l’auto dell’amico al Palazzo delle Arti di Napoli.

Paolo Siani ricorda il fratello come un uomo semplice, più alto di sè stesso, “più bello e più intelligente”, ma soprattutto innamorato della sua professione a cui fu, molto probabilmente, avviato da un suo professore che, ai tempi della scuola media, avendo creato un “giornalino scolastico”, fece di lui il responsabile.

Amava lo sport ed è stato allenatore di pallavolo, un allenatore che mise in panchina un suo giocatore che aveva esultato troppo ad un punto decisivo, egli infatti credeva che non si dovesse mai umiliare il proprio avversario.

I suoi articoli, scritti con semplicità, ma con dovizia di informazioni, sono stati sicuramente una spina nel fianco della malavita del suo tempo, ma lui non pensava a possibili pericoli, racconta, se non l’ultimo giorno della sua vita nel quale chiese ad un poliziotto di essere accompagnato a casa, cosa che non accadde e, senza informare i familiari, cosa di cui ancora oggi il fratello si rammarica, si avviò verso casa e verso la sua morte tragica.

Poteva essere protetto, gli chiedono dal pubblico? No, risponde, era solo un piccolo giornalista e poi la protezione sarebbe stata limitata ad un controllo generale di casa e luoghi di lavoro, come conferma con lui Giovanni Taranto.

Egli fu assassinato per ordine del boss Angelo Nuvoletta e per volontà del mafioso Totò Riina, capo di Cosa nostra, ma probabilmente, dice Paolo Siani, la causa della sua uccisione è da ricondurre ad un articolo nel quale Giancarlo, con lucida intuizione e dovute informazioni, evidenzierà che c’era stato un accordo tra Nuvoletta e la mafia per la spartizione dei territori ed evitare la guerra tra di loro, cosa segreta e da non divulgare.

Fu ucciso dunque perché faceva seriamente il suo mestiere e la sua storia è stata raccontata nel film di Marco Risi “Fortapàsc”, una pellicola che fu fortemente voluta dal regista che, per lunghi giorni è rimasto a Napoli, nella casa dei Siani per conoscere l’uomo e l’ambiente nel quale era vissuto. In merito al film Paolo Siani racconta che, a seguito della proiezione privata a lui e famiglia, chiese a Risi di cambiare il finale e pretese che il film si concludesse con la morte del fratello ed un lungo elenco delle vittime della mafia.

Egli ha affermato che troppo spesso si racconta e conosce il carnefice e poco o niente si sa delle vittime, in un ricostruzione sbagliata dei fatti che uccide due volte chi è oggetto di violenza. Afferma inoltre, dall’alto della sua professione pediatrica, che ci vorrebbero più asili nido nei territori della mafia, luoghi in cui i bambini imparano parole, comportamenti e valori, perché è già da quell’età che si costruisce il buon cittadino.

Ricorda infine, pungolato da diverse domande del pubblico, che un magistrato di un territorio mafioso, dispose che i bambini più giovani di famiglie mafiose, fossero allontanati in territori lontani, riteneva infatti che se fossero rimasti avrebbero assimilato la mentalità mafiosa e sarebbero stati oggetto di processi e carcerazioni anche loro.

Momento di interessante e dovuta riflessione per i tanti giornalisti presenti, ma per tutti quanti credono nella verità e necessità dell’informazione.