Rapsodie: serata di parole e musica per ribadire chi siamo nel Mondo

Rapsodie: serata di parole e musica per ribadire chi siamo nel Mondo

Cultura

Si è tenuto, nella serata di sabato 14 Giugno, presso il Convento San Francesco di Benevento, la penultima serata della rassegna “Rapsodie”, stagione eventi live ideata e prodotta da Monica Carbini per il Test Teatro Stage di sua organizzazione.

 Il Recital-Concerto dal titolo “Nuie ca stammo vicino ‘o mare”, ha visto protagonisti la scrittrice e performer Antonella La Frazia ed il duo musicale composto da Ciro Maria Schettino alla fisarmonica e Roberto Polcino alla chitarra.

La performance si è aperta con un potente monologo della La Frazia sull’essere donna, anche quando il mondo e soprattutto il partner di vita vorrebbe che ella fosse solo un oggetto, quando il silenzio imposto da chi dovrebbe amare la compagna, diventa solo uno strumento di sopraffazione e metodo per cancellare dignità e identità.

Di fronte a tale condotta, dopo un primo momento di sconcerto e passiva accettazione,  dettati da timore e incapacità a comprendere il senso di una violenza all’interno di una relazione più significativa, cosa che rende difficile  la richiesta di aiuto da parte delle donne vittime di violenza domestica, va esplodendo, malgrado tutto, il bisogno di affermare se stesse e, come proclamato dalla performer, di dichiarare il proprio essere donna “grazie a se stessa”, quasi, in significato etico, un giubileo personale che sa sciogliere ogni catena.

E’ seguito un brano  musicale di spessore da parte dei musicisti come “Bammenella” di Viviani e, subito dopo, il parlato con  la storia di Nene’, fanciulla di un arroccato paesino di nome Petranera, un luogo simile ad “ un grumo di rocce scure somiglianti a sangue rappreso”, quasi un eremo geografico e sociale in cui il mondo sembrava essersi fermato, dove le donne in casa uscivano solo per andare in chiesa e gli uomini stavano nel bar del paese a giocare a carte.

Nenè però “covava il fuoco” e usciva ogni sera, quando tutti dormivano, per girovagare nelle campagne e respirare la libertà, finchè una notte, conquistata la propria identità, non tornò più a casa, diventata tutt’uno con la natura e con se stessa.

Ancora la musica ha accompagnato la narrazione con i brani “Nuie ca nu stammo vicino ‘o mare” (Ciro Maria Schettino) e “Terra  ca nun senti”  ( Rosa Balistreri).  Alcuni di questi brani sono stati anche cantati da Roberto Polcino.

Poi il racconto è andato al tempo dell’emigrazione, epoca di viaggi lunghissimi via mare verso terre sconosciute che promettevano un benessere mai provato, viaggi per scacciare la miseria, tragitti per conquistare, specie per le donne, un’autonomia mai provata, una dignità mai assaporata, una stima per se stesse affermata con il lavoro fuori casa e la fuga da tradizioni soffocanti che uccidevano il loro se’.

E poi le disillusioni, l’essere visti nel nuovo mondo come ladri e puzzolenti, trattenuti all’arrivo a New York sull’isoletta di  Ellis Island ( l’isola degli immigrati), per controlli burocratici e medici, lavorare per 10, 12 ore al giorno, spesso rinchiusi nei luoghi di lavoro per paura di pause troppo frequenti o furti del materiale prodotto, disillusione soprattutto per le donne, che venivano sfruttate e rischiavano di morire a decine in incendi sul luogo di lavoro da cui non potevano uscire.

Ancora il dramma di “chi siamo nel mondo”, cosa sono le donne agli inizi del secolo scorso ma,  noi crediamo, anche di questi tempi, con le parole di una donna che, in attesa di un treno in  una stazione buia e misteriosa del nuovo mondo, si dispera per la sua situazione, ma manda lettere alla sorella in Italia dicendole di stare bene e che le avrebbe mandato danaro per  essere raggiunta dove avrebbe trovato lavoro.

Bugie pietose di chi ancora cerca la via del riscatto, ma dona speranza a chi è rimasto nel buio di un mondo che non sa neppure cosa sia il riscatto.

Un ricordo doloroso va poi, ricordando gli scritti di Corrado Alvaro sul Corriere della Sera nel 1953, ai valani, bambini venduti come schiavi a Benevento, a Piazza Orsini, davanti al Duomo cittadino, da contadini poveri che, per qualche sacco di grano o poco altro, davano i loro figli a personaggi facoltosi che li avrebbero usati come schiavi per qualche anno. 

Pagina buia di un tempo in cui la vita umana valeva meno di un soldo sociale, tempo in cui nessuno sapeva valutare chi siamo come persone ed esseri pensanti, momento per molti lontano, ma macigno collettivo e sociale sorprendentemente gravoso nella memoria, istante storico in cui anche i bambini, trattati come animali da pesare, visionare, valutare, perdevano la loro identità e dignità.

Ma la degradazione ha poi toccato un altro apice quando tanti giovani vennero mandati a morire nella grande guerra, ma noi pensiamo anche a quanti ragazzi ancora oggi muoiono sui campi di battaglia in nome di chi o cosa nessuno lo sa, giovani vite che per scelta di pochi e protetti “sovrani” della politica, lasciano la vita per obbedire ad ordini insensati ed irragionevoli.

La musica ha poi ripreso la guida della serata con altri pezzi come “Ranci e mosca” (canto antico di autore sconosciuto), “Senza cielo” della Nuova Compagnia di Canto Popolare, “Si Vo Dio” e “No pe me” di Schettino, e il bellissimo brano di un amore distrutto dal regime di Pinochet “ Te recuerdo Amanda” con, alla fine,  la descrizione parlata di un amore “normale” tra due persone non più giovani.

La Frazia ha infine incoraggiato al necessario cambiamento nell’impostazione della vita, nell’affermazione del “chi siamo nel mondo” senza differenze antropiche e genetiche, perché, come ha detto bene l’ultimo brano suonato e cantato : “Todo Cambia” ( Merceds Sosa).