Benevento, celebrati i 30 anni dalla fondazione della Camera Penale

Benevento, celebrati i 30 anni dalla fondazione della Camera Penale

AttualitàBenevento Città

Giornata dalle forti emozioni ieri per i Soci e le Socie della Camera Penale di Benevento che ha celebrato i 30 anni dalla sua fondazione.

Camera Penale che, fondata il 29 settembre del 1992, dal 2008 è intestata all’Avv. Guido Del Basso De Caro, prestigioso Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Benevento dal 1986 al 1989. Il suo nome è stato ricordato così come quelli di Aldo Cucinelli, Francesco Leone, Fabio Lanni, Michele Portoghese, Francesco Fusco, Francesco Romano, Pasquale Sorgente, Lucio Facchiano, Michele D’Occhio, Andrea De Longis senior, Andrea De Longis junior, Gino De Pietro, Antonio Mazzeo, Carmelo Damiano, Vittorio Fucci senior, Antonio Orso, Fulvio Di Mezza, Gennaro Papa, Raffaele Sodano, i cui nominativi compaiono nell’atto costitutivo.

Presente, ovviamente, la presidente del Tribunale Marilisa Rinaldi, che ha ricordato quella che è la funzione preponderante della Camera Penale, ossia “garantire il diritto alla difesa a tutti”, sottolineando l’importanza delle battaglie compiute per il gratuito patrocinio: “anche chi si è macchiato del delitto più odioso deve essere assistito a dovere, come è capitato negli anni di piombo, del terrorismo”.

Il procuratore della Repubblica, Aldo Policastro, ha sottolineato quanto sia importante la sinergia tra avvocatura e magistratura perché “Non c’è magistratura forte senza un’avvocatura forte”, per poi ricordare quanti avvocati siano caduti per mano del terrorismo e delle Mafie.

“Le Camere penale e civile sono i polmoni che danno respiro all’attività forense. Abbiamo avuto sempre un confronto, a volte vivace, ma insieme guardiamo al futuro di un’avvocatura che deve raccogliere le nuove sfide”, ha sottolineato Stefania Pavone, presidente dell’Ordine degli avvocati di Benevento.

Dopo gli interventi degli ‘Avv.ti Nico Salomone, Vincenzo Regardi, Monica Del Grosso e Domenico Russo, è stata la volta della presidente della Camera Penale, Simona Barbone, di cui pubblichiamo la seguente relazione.

“Care Socie e Cari Soci,

celebriamo oggi, 29 settembre 2022, i trenta anni dalla fondazione della nostra Camera Penale.

Dal 2008 la nostra Camera Penale è intestata all’Avv. Guido Del Basso De Caro, prestigioso Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Benevento dal 1986 al 1989.

Quando, all’inizio di quest’anno, mi sono imbattuta nell’atto costitutivo della nostra associazione ho provato una forte emozione e mi sono detta che non avrei potuto perdere l’occasione di rievocare insieme a tutti voi questo evento così importante. Il 29 luglio 1992 nasceva la nostra Camera Penale.

Chiaramente se avessimo pensato a convocare l’assemblea il 29 luglio non avremmo avuto la giusta e meritata attenzione e per questo abbiamo pensato di rinviare solo di un po’ questo appuntamento.

La nascita della nostra camera penale si colloca nel ’92, un anno fondamentale per la storia d’Italia, un anno in cui il paese tutto subiva profondi sconvolgimenti ed in particolar modo il settore della giustizia penale.

Nel settembre del 1992 mi apprestavo a frequentare l’ultimo anno del Liceo Classico e, sebbene ancora distante dalla vita del Tribunale e dalle dinamiche della politica forense, già allora percepivo in famiglia, grazie al fatto di essere nipote dell’Avv. Francesco Fusco, storico difensore di Pier Paolo Pasolini, e del suo erede Claudio Fusco, l’importanza di quell’impegno associativo che stava prendendo forma per tutelare e valorizzare i principi di civiltà fondamentali dell’ordinamento giuridico penale.

Forse non è un caso che la Camera Penale di Benevento sia nata nel 1992. Gli eventi di quell’annus horribilis hanno avuto una vasta e profonda eco nella giustizia penale.

È stato un anno, il 1992, che ha cambiato radicalmente il nostro paese. L’Italia in quel settembre non era più la stessa.

RICOSTRUZIONE EVENTI STORICI 1992

Dalla sentenza definitiva sul Maxi Processo della I Sezione della Corte di Cassazione del gennaio ‘92 abbiamo assistito ad una sequenza di colpi di scena.

Nel febbraio del 1992, l’arresto in flagranza di reato di Mario Chiesa – esponente del Partito socialista milanese e presidente del Pio Albergo Trivulzio, mentre intascava una tangente, dava il via alla grande inchiesta di “Mani Pulite”.

Nel marzo del 1992, la Mafia non tardava a rispondere alla sentenza del Maxi Processo, uccidendo Salvo Lima, il politico di maggior spessore dell’intera Sicilia. Democristiano di ferro e braccio destro dell’allora Presidente del Consiglio, Giulio Andreotti.

Nell’aprile del 1992, le elezioni politiche furono connotate da un clima di sfiducia verso la politica, alimentato proprio dalle inchieste del Tribunale di Milano. Alle urne crebbe l’astensionismo e la débacle del cd. pentapartito, la coalizione di governo durata dal 1981 al 1991 e composta da Democrazia Cristiana, Partito socialista, Partito repubblicano, Partito liberale e socialdemocratico, spingerà l’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga a dimettersi.

Maggio del ‘92 fu segnato dalla Strage di Capaci. Tutti ricordiamo con angoscia e tristezza le immagini del tratto dell’autostrada palermitana A 29 devastata dall’esplosione che non dava alcuna possibilità di immaginare un esito diverso da quello che fu. La morte violenta e prematura del Giudice Falcone ha sconvolto tutti gli italiani ma ha anche segnato l’inizio di una nuova e più sofisticata lotta alle Mafie a livello mondiale. L’evento fu così tragico e devastante da far passare in sordina anche l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro solo due giorni dopo.

La vendetta per le condanne definitive del Maxi processo è proseguita nel luglio 1992 con l’esplosione di Via d’Amelio in cui fu ucciso Paolo Borsellino, amico fraterno di Giovanni Falcone. La notte stessa del 19 luglio ci fu una potente reazione dello Stato che rese operativa l’applicazione del 41 bis a carico di 300 detenuti per reati di mafia, sia già condannati che in attesa di giudizio, trasferiti nelle carceri speciali dell’Asinara e di Pianosa.

Mentre Cosa Nostra dichiarava guerra allo Stato, con l’uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, a Milano il pool di “Mani pulite” continuava nella sua inchiesta che evidenziava anni di corruzione, tangenti e bustarelle. E proprio per le accuse mosse nei suoi confronti, il 2 settembre del 1992, si tolse la vita un esponente di spicco del Partito Socialista, il deputato Sergio Moroni.

L’anno si concludeva con una delle notizie destinate a stravolgere per sempre la politica italiana: i Pm di “Mani Pulite” indagavano Bettino Craxi. L’accusa per Craxi era di concorso in corruzione, ricettazione e violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti. Un faldone di 18 pagine in cui i PM contestavano al leader socialista di aver incassato tangenti per un totale di 36 miliardi di lire.

LE RIPERCUSSIONI NELLA GIUSTIZIA PENALE

L’anno delle stragi di Mafia, di Tangentopoli, e dell’inizio della fine della Prima Repubblica avrà sicuramente dato un impulso determinante per quel piccolo gruppo di avvocati penalisti del Foro sannita, alcuni nella piena maturità, altri più giovani, che decidevano di costituire la Camera Penale di Benevento. Del resto si apriva una stagione impegnativa sotto il profilo della tutela dei diritti di difesa e del rispetto delle regole del processo penale.

Dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio v’era stato un inasprimento della normativa contro la criminalità organizzata ed una rigorosissima applicazione del regime del 41 bis introdotto con la legge Gozzini del 1986. Il decreto Scotti-Martelli dell’8 giugno 1992 aggiungeva un comma 2 all’art. 41 bis dell’O.P. con cui veniva estesa l’applicazione del “carcere duro” con l’intento dichiarato di impedire che i mafiosi potessero comunicare con l’esterno. Ma la misura aveva anche un altro scopo implicito, quello di rendere ai mafiosi la vita più dura possibile all’interno del carcere: l’unico modo per accedere ai benefici penitenziari e alle misure alternative era la collaborazione con la giustizia.

I penalisti non riescono ad accettare che sui crimini delle bande mafiose si speculi per eliminare le garanzie processuali, ed intraprendono una lunga battaglia, fondata sulla astensione dalle udienze contro il duro giro di vite che in tutte le carceri italiane colpiva non sempre e non solo capi clan e affiliati alle cosche mafiose.

L’inchiesta Mani Pulite condotta dai PM di Milano scoperchiava finalmente il vaso di pandora della corruzione e dell’illecito finanziamento della politica ma suggellava anche un sistema totalmente al di fuori del rispetto delle regole che governano la fase delle indagini preliminari. Durante l’inchiesta Mani Pulite, le regole di assegnazione dei fascicoli nel Tribunale di Milano vennero sistematicamente aggirate per garantire alla Procura di poter contare sempre e soltanto su un unico GIP. Il sistema escogitato era quello di far confluire tutte le notizie di reato in un unico mega-fascicolo, che portava il numero 8566/92, assegnato al Giudice per le Indagini Preliminari Italo Ghitti. Tutte, nessuna esclusa, le richieste del pool Mani Pulite arrivavano così a Ghitti, con la certezza di venire accolte nel giro di poche ore, annientando totalmente la funzione di controllo giurisdizionale sulle indagini e sull’esercizio dell’azione penale in barba al principio di imparzialità e terzietà del Giudice. Anche in questa occasione i penalisti hanno fatto sentire la loro voce contro l’uso della qualificazione giuridica del fatto come uno strumento di polizia e contro l’utilizzo della carcerazione preventiva per alimentare la spirale delle confessioni a catena.

Anche un altro è stato l’impegno dei penalisti in quel periodo. Mentre l’indagine proseguiva con questa sconsiderata pratica delle regole procedimentali, bisognava arginare le conseguenze nefaste delle quotidiane notizie di arresti di politici, imprenditori, pubblici amministratori, sbattute sulle prime pagine dei giornali e dei telegiornali. Da Mani Pulite in poi, infatti, si è diffusa l’idea che un’ordinanza di custodia cautelare equivalesse già ad una sentenza di condanna, travolgendo e stravolgendo il processo ed il dibattimento, unico luogo deputato a verificare la fondatezza dell’accusa. Sotto il profilo umano, inoltre, non si può dimenticare che, a causa di quelle indagini, ben 41 persone si tolsero la vita. La maggior parte lo fece fuori dal carcere o ancora prima di essere ufficialmente indagati. Questo accadde come conseguenza della pressione dell’opinione pubblica, per il timore che si venisse marchiati a vita, oltre che condannati.

Gli interventi della CORTE COSTITUZIONALE

Quel gruppo di avvocati che aveva accolto a braccia aperte e creduto profondamente nell’avvento del processo accusatorio dell’88, si trovava a vedere vanificati tutti i buoni principi in esso contenuti. Da allora i penalisti di tutta Italia e con essi anche quelli sanniti, hanno sentito forte il richiamo all’unità e alla coesione per intraprendere e sostenere una stagione di dure battaglie, dentro e fuori le aule di tribunale, animati dall’intento di riaffermare il rispetto delle regole del processo penale.

Un processo penale accusatorio che veniva sgretolato a colpi di piccone.

A minare l’impermeabilità della prova dibattimentale, rispetto alle acquisizioni dichiarative raccolte nel corso delle indagini, avevano contribuito in modo incisivo anche le numerose pronunce di incostituzionalità del ‘92, relative agli artt. 195 c.p.p. (divieto di testimonianza indiretta per la polizia giudiziaria)(n. 24 del gennaio 1992), 500 c.p.p. (n. 255 del maggio 1992) e 513 c.p.p. (n. 254 del maggio 1992). In particolare, della pronuncia n. 255 del 1992 restano indelebili: 1) l’affermazione che “il fine primario ed ineludibile del processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità”; 2) il riferimento al “principio di non dispersione dei mezzi di prova”. Il colpo di grazia all’impermeabilità della prova dibattimentale veniva, poi, inferto dalla pronuncia  di illegittimità costituzionale dell’art. 513 c.p.p., che, attraverso il meccanismo delle letture, aveva favorito l’acquisizione dei verbali redatti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria a discapito della formazione della prova in dibattimento e nel contraddittorio tra le parti.

IL GIUSTO PROCESSO E LE INDAGINI DIFENSIVE

Il primo decennio di riunioni, assemblee, astensioni, manifestazioni, ha portato comunque ad un risultato importante: il riconoscimento costituzionale del “Giusto Processo”. Con la riforma attuata con la legge costituzionale n. 2 del 1999, la regola del contradditorio nella formazione della prova – a buon diritto definibile come la Regola d’Oro del processo accusatorio – è stata dapprima enunciata nel nuovo testo dell’art. 111, comma 4, Cost. e poi concretizzata nelle disposizioni del codice di rito, sostanzialmente ricondotte alla loro originaria formulazione con la legge n. 63 del 2001.

I giudici della Corte Costituzionale, subito investiti di nuove questioni di legittimità, hanno doverosamente riconosciuto la presenza, nel mutato quadro costituzionale, di una regola di esclusione probatoria per effetto della quale le dichiarazioni, unilateralmente raccolte nell’indagine preliminare, restano prive di valore probatorio nel dibattimento, salvo le eccezioni espressamente contemplate.

Sempre nell’alveo dell’affermazione costituzionale del Giusto Processo, ha rappresentato un’altra conquista per i penalisti l’inserimento nel codice di procedura penaledel Titolo VI bis sulle “Investigazioni difensive” inserito con la Legge 7 dicembre 2000, n. 397. Le norme previste dagli articoli 391 bis e seguenti, hanno costituito la realizzazione, sia pure ad un livello che non elimina l’asimmetria di poteri tra accusa e difesa, dei precetti dell’art. 111 commi 2 e 3 Cost. in virtù dei quali il processo deve svolgersi in condizioni di parità tra le parti e l’accusato deve disporre degli strumenti per impostare efficacemente la sua difesa.

La stessa Corte Costituzionale definiva come fisiologico lo squilibrio tra pubblica accusa e difesa con la sentenza n. 184 del 2009 pronunciandosi nel senso che “il principio di parità delle parti, non comporta necessariamente l’identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell’imputato, potendo una disparità di trattamento risultare giustificata, nei limiti della ragionevolezza, sia dalla peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero, sia dalla funzione allo stesso affidata, sia da esigenze di funzionale e corretta amministrazione della giustizia”.

LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE

Lo strapotere dei Pubblici Ministeri, manifestatosi in tutte le sue espressioni da Mani Pulite in poi, mina fortemente l’imparzialità e la terzietà del giudice. È storia di questo trentennio, l’impegno profuso dalla Camera Penale di Benevento per la battaglia di tutte le battaglie: la separazione delle carriere. Anche grazie al contributo dei penalisti sanniti ed arianesi, nel 2017, sono state raccolte 70.000 firme per la proposta di legge di riforma costituzionale di iniziativa popolare sulla separazione delle carriere della magistratura giudicante da quella requirente. Oggi la partita è ancora aperta. A quasi 5 anni dal deposito delle firme (che ricordo essere avvenuta nell’ottobre 2017), numerose sono state le manifestazioni, a cui abbiamo partecipato, per sottolineare all’opinione pubblica il mancato rispetto, da parte della politica, della volontà dei cittadini trasfusa proprio nella legge di iniziativa popolare sulla separazione delle carriere dei magistrati. Si auspica che la politica non abbia più timore di affrontare quella che potrebbe essere una svolta epocale.

LA DIFESA D’UFFICIO ED IL PATROCINIO DEI NON ABBIENTI

Fanno parte della storia di questo trentennio di Camera Penale di Benevento anche tutte le iniziative intraprese a tutela della difesa d’ufficio e del patrocinio dei non abbienti. Due temi che hanno sempre trovato ingresso nelle nostre assemblee e che hanno dato vita ad accesi dibattiti.

Fin dalla legge n. 60 del 6 marzo 2001, che pure aveva fatto segnare un decisivo passo in avanti, introducendo meccanismi di turnazione e di individuazione automatica del difensore d’ufficio, si evidenziavano due elementi di criticità che incidevano sulla effettività del diritto di difesa: 1) l’assenza di garanzie di competenza professionale del difensore d’ufficio e 2) l’assenteismo dei difensori d’ufficio, che determinava un eccessivo ricorso a improprie sostituzioni ex art. 97 co. 4 c.p.p.

È stato anche grazie all’impegno degli avvocati penalisti che si è approdati al “riordino della disciplina della difesa d’ufficio” con il decreto legislativo 30 gennaio 2015, n. 6, che ha sottolineato la necessità di una maggiore garanzia di competenza del difensore d’ufficio: da un lato, si è estesa a cinque anni l’anzianità di iscrizione necessaria per poter invocare una comprovata esperienza professionale; dall’altro, si sono congiuntamente previsti dei requisiti di durata minima per il corso di formazione (2 anni e 90 ore) e il superamento di una prova finale.

La Camera Penale di Benevento, che già dal 2002 aveva avviato, d’intesa con il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Benevento, presieduto all’epoca dall’Avv. Francesco Leone – precursore dei tempi in questa iniziativa -, corsi di formazione per i difensori d’ufficio, ha chiaramente colto con entusiasmo la nuova normativa. Per il tramite della propria “Scuola Territoriale di Formazione dell’Avvocato Penalista” istituita nel 2012 ed intitolata proprio all’Avv. Franco Leone, la nostra Camera Penale, dal 2015 in poi si è occupata, in maniera ancor più incisiva, dell’organizzazione dei corsi biennali di formazione per difensori di ufficio con l’obiettivo di migliorare il livello di preparazione degli aspiranti difensori d’ufficio, esaltando gli aspetti di competenza, responsabilità e consapevolezza del ruolo che essi rivestono.

Non va sottaciuto che grazie alla Scuola territoriale di formazione, la nostra Camera Penale, ha avuto una risorsa in più per offrire approfondimenti sul diritto penale processuale e sostanziale a tutti gli iscritti del Foro di Benevento, organizzando in questi 30 anni incontri e convegni di alto profilo con il coinvolgimento del mondo accademico, della Politica, della Magistratura e delle Forze dell’Ordine.

Per quanto riguarda l’altro dei due temi, il patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, la Camera Penale di Benevento ha sempre sostenuto e valorizzato questa garanzia democratica del diritto di difesa. È l’art. 24 della Costituzione, infatti, a sancire il diritto di “tutti” alla difesa, diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, garantendo a “tutti” i mezzi per agire e difendersi davanti a ogni giurisdizione. Perché di questo si tratta, di permettere a chi non ha risorse economiche sufficienti di essere difeso adeguatamente. La crisi economica, la pandemia, e da ultimo la crisi energetica hanno drammaticamente esteso la platea dei cittadini che richiedono di essere difesi con il patrocinio a spese dello Stato, un diritto che non può essere negato dall’avvocato. Giammai si possa pensare che il patrocinio dei non abbienti sia “un’anomala forma di sostegno del reddito di una parte dell’avvocatura”, come qualcuno ha sostenuto; occorre, invece, pensare di snellire le procedure di accesso, di rendere dignitosi i compensi da liquidare e di restringere i tempi di pagamento per non snaturane la sua effettiva e nobile funzione.

L’ULTIMO DECENNIO

La Camera Penale di Benevento ha partecipato assiduamente alle dinamiche della politica forense a livello nazionale, rivestendo un ruolo mai condizionato ai diktat di camere penali territorialmente più vaste e maggiormente incisive sulle determinazioni dell’Unione Camere Penali Italiane.

Ma il nostro impegno è stato determinante anche a livello territoriale.

Si deve alla Camera Penale la firma del Protocollo per la gestione delle udienze penali nel nostro Tribunale avvenuta il 12 giugno 2012. Un protocollo che ha reso molto più agile e scorrevole l’attività giudiziaria penale per tutti gli addetti ai lavori; un protocollo, ancora vigente e per il rispetto del quale, in questi 10 anni, abbiamo vigilato assiduamente, a volte adottando anche decisioni forti.

La nostra Camera Penale ha poi esteso i propri confini territoriali, accogliendo tra i propri iscritti gli Avvocati del Foro di Ariano Irpino dopo la soppressione, nel 2013, del Tribunale Arianese riunito al nostro circondario. Nonostante il disappunto per questa scelta governativa che puntava, con la revisione della geografia giudiziaria, ad un risparmio per le casse dello Stato di 80 milioni di euro – mai realizzato -, noi penalisti sanniti abbiamo beneficiato di un arricchimento di esperienze e di un confronto professionale con l’autorevole realtà arianese.

Insieme ai colleghi arianesi la Camera Penale di Benevento ha fatto sentire la propria voce anche in occasione del tentativo, avviato dalla magistratura associata, di creazione di un’autonomo distretto della Corte di Appello del Sannio, che avrebbe dovuto comprendere il distretto di Corte d’Appello di Campobasso unitamente ai circondari dei Tribunali di Benevento, Lucera ed anche Foggia. Un tentativo, rimasto tale in quanto fortemente avversato dall’avvocatura, poiché, senza alcun apprezzabile risultato in termini di snellimento della definizione dei procedimenti, avrebbe destabilizzato la geografia giudiziaria del nostro distretto a svantaggio dei cittadini.

La nostra Camera Penale ha colto l’occasione per far si ché i temi della legalità e del giusto processo non rimanessero confinati nelle aule di giustizia, ma arrivassero ai cittadini e, primi fra tutti, ai giovani. Per questo, dal 2014, abbiamo aderito al Progetto Scuola in attuazione del Protocollo MIUR sottoscritto tra l’Unione delle Camere Penali e il Ministero Dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca al fine di “agevolare la conoscenza degli studenti sulla conformazione del sistema costituzionale”. Abbiamo così portato il punto di vista degli avvocati penalisti, proponendo molteplici incontri con gli studenti delle scuole secondarie di tutto il circondario, per fornire loro un’informazione corretta  sul “mondo della giustizia”, cercando di contenere la visione distorta delle finalità perseguite dalla Costituzione nella celebrazione dei processi e dei ruoli dell’Accusa, della Difesa e del Giudice che, nel processo, esercitano funzioni ben distinte e separate.

LA PANDEMIA

E poi, infine, ma non ultimo, non possiamo non parlare dell’incessante lavoro di sentinella del giusto processo svolto dalla nostra Camera Penale durante il lungo periodo pandemico.

I cambiamenti imposti dalle normative emergenziali hanno messo a dura prova il diritto di difesa come costituzionalmente garantito ed, in alcuni casi, hanno modificato ineluttabilmente il processo penale.

Basti pensare ai giudizi penali d’appello trasformati, dall’art. 23 del Decreto “Ristori bis” il D.L. 9 novembre 2020, n. 149, in giudizi cartolari in camera di consiglio senza la partecipazione di PM e difensori delle parti, residuando il rito ordinario a tre sole eccezioni: quando la corte disponga la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, quando il difensore delle parti private o il pubblico ministero facciano domanda di discussione orale e quando l’imputato manifesti la volontà di comparire. La preoccupazione che avevamo si è palesata; la tutela della salute è divenuta la scusa per sovvertire il rito ordinario con buona pace della dialettica orale.

Ci siamo occupati di promuovere un Tavolo tecnico sull’Informatizzazione del processo penale per far fronte ai non pochi problemi applicativi che si ponevano nell’utilizzo dei servizi telematici. Con il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Benevento e con la collaborazione operativa del Tribunale di Benevento, della Procura della Repubblica di Benevento e della Sezione penale del Giudice di Pace di Benevento, abbiamo fatto in modo che all’alba dell’attivazione del Portale deposito atti penali (cd. PDP), avvenuta con provvedimento del 5 febbraio 2021 del Direttore Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati presso il Ministero della Giustizia, i penalisti sanniti avessero il giusto know-how per approcciarsi a questo nuovo modo di svolgere parte dei loro adempimenti.

In questi lunghi e difficili anni, la Giunta della Camera Penale è stata costantemente di supporto ai propri iscritti, sostenendoli nell’affrontare le problematiche tecniche e pratiche che si presentavano, aggiornandoli sulle novità normative e le prassi in essere in ogni Tribunale e facendosi portavoce con i Magistrati e con i dirigenti delle cancellerie delle disfunzioni e delle complicazioni riscontrate in questo nuovo modo di svolgere il nostro lavoro.

LE SFIDE DI OGGI E DI DOMANI

Quali sono i temi di cui dovremo occuparci nel prossimo futuro?

Certamente non possiamo abbandonare al suo destino il processo di appello. È un dovere per i penalisti difendere il giudizio di appello dalle molteplici disfunzioni che oggi vive. L’Appello è uno strumento di garanzia irrinunziabile.

Non possiamo trascurare le croniche disfunzioni dei Tribunali di Sorveglianza ed il nostro, quello di Napoli, è un malato terminale che, ci impone di prendere delle determinazioni forti insieme a tutte le altre camere penali del distretto.

Bisognerà intervenire duramente anche contro quelle cd. Interpretazioni giurisprudenziali creative che stanno sovvertendo nuovamente le regole del giusto processo accusatorio. Un singolare esempio è offerto dalla sentenza a SS.UU. cd. Bajrami, la n. 41736 del 30 maggio 2019, avente ad oggetto l’art. 525 c.p.p. Il supremo collegio, le cui interpretazioni sono oggi divenute vincolanti nei limiti previsti dall’art. 618, comma 1-bis, c.p.p., ha affermato che in caso di mutamento della persona del giudice dibattimentale: a) il diritto di chiedere il riascolto del teste compete solo alla parte che ne abbia chiesto l’ammissione; b) la parte deve indicare le specifiche circostanze che rendono necessaria la rinnovazione della testimonianza al fine di evitare che questa si risolva nella mera ripetizione di quanto già deposto. In altre parole, è stato di fatto abrogato il diritto ad essere giudicato dallo stesso giudice che ha raccolto la prova, con effetti devastanti sulla qualità della giurisdizione e sui principi fondativi del giusto processo. Questo anche a causa dell’incontrollabile avvicendamento di giudici all’interno dei collegi e negli stessi giudizi monocratici, con la prevalenza di esigenze del tutto personali -ancorché legittime- del giudice sul diritto dell’imputato ad essere giudicato da chi ha assunto la prova. È intendimento dei penalisti italiani contrastare con forza e con ogni iniziativa, nei processi e fuori dai processi, questa inammissibile negazione dei principi costitutivi del giusto processo.

La Riforma Cartabia, occupandosi del problema, aveva demandato ai decreti delegati l’individuazione di una disciplina che non rendesse obbligatoria la rinnovazione nei casi nei quali il precedente dibattimento fosse stato oggetto di videoregistrazione, soluzione nel solco della pronuncia della Corte Costituzionale 132/2019. I penalisti italiani avevano segnalato la pericolosità di una simile soluzione, in evidente contrasto con la norma costituzionale, sottolineando le ragioni per cui la prova videoregistrata non può essere assimilata alla prova raccolta davanti al nuovo giudice: diverse e nuove sono, infatti, le dinamiche che si determinano in una “nuova” testimonianza, sia con riferimento all’atteggiamento delle parti che con riferimento alla percezione del giudicante.

Ebbene, in sede di decreti attuativi non si è inteso, sia pure nel rispetto della delega, di specificare i casi nei quali sia possibile derogare alla regola per la quale il nuovo giudice deve rinnovare l’assunzione della prova. Peraltro, il decreto attuativo non disciplina le modalità con le quali il nuovo giudice dovrà prendere cognizione della prova precedentemente formatasi. L’Unione delle Camere Penali aveva richiesto che quantomeno tale attività fosse svolta in pubblica udienza, unica modalità atta a garantire l’effettività della specifica assunzione anche con la visione dell’atto videoregistrato. Il resto è storia di questi giorni, ma chiaramente è necessario un intervento forte da parte nostra sul tema.

Non voglio addentrarmi nel dettaglio delle tante tematiche specifiche, ma in questa sede, desidero rivendicare l’impegno dell’Unione Camere Penali Italiane, cui ricordo la nostra CP è aderente, che è stata sempre vigile sui lavori delle Commissioni nominate dal Ministro della Giustizia per la predisposizione degli schemi dei decreti attuativi. Nonostante ciò, oggi possiamo affermare che i decreti delegati hanno tradito tutte le nostre aspettative; hanno snaturato alcuni degli aspetti migliori della riforma Cartabia, e ne hanno aggravato le parti peggiori. Ancora una volta i decreti attuativi riscrivono in modo sensibile la volontà del Parlamento consolidata nella legge delega. Ci si aspetta che il nuovo Parlamento intervenga quanto prima su quel che resta del processo accusatorio.

Infine, non possiamo più evitare di occuparci della crisi sistemica del settore carcerario.

La nostra Camera Penale si è sempre occupata dei problemi connessi al carcere, e in questi ultimi anni ha messo in campo numerose iniziative utili a migliorare le condizioni dei detenuti e a sensibilizzare sulle varie problematiche esistenti. Rinvio sul punto all’intervento del Segretario Avv. Salomone, delegato di Giunta al settore carcere della nostra CP, che più tardi inviterò ad intervenire. Una cosa è certa. Ormai non si può più attendere. Occorre una riforma penitenziaria seria che restituisca dignità e concretezza al principio costituzionale della funzione rieducativa della pena.

Come vedete c’è tanto da fare, c’è bisogno che ognuno di noi dia il suo contributo, per risollevare le sorti della giustizia italiana che soffre oggi la sua crisi più profonda. C’è bisogno che i cittadini ritrovino fiducia prima negli avvocati, impegnati nella tutela dei loro diritti, poi nei magistrati che su quei diritti devono pronunciarsi.

La Camera Penale di Benevento non si tira indietro, opera ed opererà con lo stesso spirito che ha animato i padri fondatori di cui voglio leggere i nomi direttamente dall’atto costitutivo ritrovato presso l’Archivio Notarile di Benevento. Ad essi oggi va il nostro grazie per aver dato vita ad un organismo che, nel tempo, ha saputo rinnovarsi e trovare sempre nuovo slancio e nuovo entusiasmo nell’affrontare le battaglie in difesa delle regole del giusto processo penale.

Viva la Camera Penale di Benevento”.