Gigi e Ross in “Vico Sirene” ammaliano con le loro storie “diverse”

Gigi e Ross in “Vico Sirene” ammaliano con le loro storie “diverse”

Cultura

Nella serata di venerdì 6 ottobre, negli spazi del Teatro Comunale Vittorio Emanuele di Benevento, Luigi Esposito e Rosario Morra, in arte Gigi e Ross, si sono esibiti, insieme a Ciro Esposito, Marco Palmieri, Luigi Credendino e Dario Di Luccio, nella pièce teatrale di “Vico Sirene”, nell’ambito del Social Film Festival Artelsia.

“Sirene” fa riferimento al mito della Sirena Partenope, essere ammaliante e tentatrice che, trasportata dal mare, giunse nel luogo in cui oggi sorge Castel dell’Ovo.

I due attori comici, nella serata, si sono messi in gioco impersonando due soggetti particolari del mondo dei “femminielli” di Napoli, un mondo spesso misconosciuto ed ai margini dell’attenzione sociale, ma tuttavia vivo ed attuale, ma soprattutto pulsante di vita difficile e nello stesso tempo fatto di affetti e rapporti profondi che, al di là della condizione “diversa” che vivono sulla loro pelle, rivelano emozioni profondamente umane.

Il lavoro è opera dello sceneggiatore, regista teatrale e drammaturgo partenopeo Fortunato Calvino che, in merito alla sua opera ha dichiarato: “ispiratrice di questo mio testo è stata la Tarantina(88anni), figura straordinaria e memoria storica dei quartieri spagnoli dove tutt’oggi vive. Non è un caso che ho scelto questo titolo: “Vico” intenso come groviglio di vicoletti e stradine del centro storico e in particolar modo dei quartieri spagnoli ma anche groviglio di vite diverse, vissuta da un’umanità complessa e variegata. Anime di questo paradiso/inferno che è Napoli”.

La Tarantina, al secolo Carmelo Costa, simbolo dei femminielli napoletani di cui si dichiara l’ultimo,  vive nei quartieri spagnoli in un “vascio” con una pensione minima e “tombole scostumate”, è stata dunque l’ispiratrice del lavoro teatrale di Fortunato Calvino; in lui/lei, il regista ha voluto vedere quel mondo sotterraneo di una Napoli splendida e difficile che ha voluto descrivere senza orpelli architettonici o artistici.

La parola “Vico” sta dunque, oltre che ad indicare le stradine del centro storico di Napoli, anche le vie intricate dell’animo umano, le sensazioni complesse e complicate che agitano l’esistenza e ti portano a scegliere uno stile di vita per tanti incomprensibile, ma per altri inevitabile modo di vita, una forma di esistenza complicata, ma comunque ricca di affetti e legami che potrebbero sorprendere chi immagina nel mondo dei femminielli solo degrado.

Sulla scena dunque personaggi come Scarola – Luigi Esposito – e Nucchetella – Rosario Morra -, aprono la rappresentazione in un ambiente povero, ma dignitoso, con un dialogo in stretto vernacolo napoletano in cui non sono mancate battute di spirito, ma anche sussiegosi rivendicazioni della propria bellezza passata e delle loro storie personali.

A loro presto si è affiancata il personaggio di Coca Cola che, a seguito della richiesta di un ferro da stiro a Scarola, diventa, come spesso capita nella vita di ognuno, occasione di grande ilarità, battute di spirito napoletano e irritabilità da parte di Scarola che non amava particolarmente l’amica. Sulla scena ecco poi giungere Mina, aspirante cantante, che ha raccontato alle compagne di essere nei guai per essere stata testimone di una rapina, sfoggiando però, nello stesso tempo, un abbigliamento femminile vistoso e accattivante.

Uscite di scena le prime due amiche, Scarola e Nucchetella accolgono nel loro vicolo molto particolare, Susy, protagonista di una storia di prostituzione e amore malato per un uomo che, avendo moglie, la trascura, personaggio dunque di un’esistenza difficile che vorrebbe però una vita normale.

La normalità “malata” di Vico Sirena, viene però travolta dalla notizia dell’uccisione di Susy, gesto efferato contro un transessuale che sconvolge la vita dei femminielli, morte inattesa, ma forse non inaspettata in un mondo considerato di anormalità sociale e morale, ma comunque una morte inaccettabile da parte di chi vive in una anormalità che è invece vissuta come piena normalità e non può accettare un gesto tanto efferato.

Sulla scena giunge la Pescivendola, femminiello che ha un lavoro ed un marito che però, per suo dire, non ama il pesce e vuole solo “ a fell e carn” e che dichiara di aspirare ad avere un figlio.  A lei Scarola e Nucchetella raccontano della morte di Susy e di come i parenti stiano depredando le sue cose. Insieme alle altre compagne, giunte poi sulla scena, pensano di costruire una cappella che possa ospitare Susy e loro stesse alla loro dipartita.

Progetto che eccita Mina che vorrebbe che la cappella fosse fatta di marmo bianco, vetri e pavimento colorati, ma offre per la bisogna prima 5 euro e poi, sollecitata per l’offerta irrisoria e insufficiente, altri 10 euro. Per un progetto del genere ci vuole però danaro che ci si procura in un solo modo, la prostituzione come lavoro.

Sulla scena arriva Coca Cola che prima dichiara che l’assassino di Susy è stato individuato e poi lo trascina sul palco dove, mentre le amiche lo circondano abbigliate in abiti femminili sgargianti e colorati e lo canzonano mettendogli sul capo una parrucca, egli viene sbeffeggiato e poi trascinato via per farlo scomparire.

Esistenze difficili quelle dei femminielli napoletani descritti nella commedia, vite che esprimono la metafora della vita, momento in cui si vince e si perde, come in una “tombola scostumata” o “tombola dei femminielli”.

La tombola fatta di gioco e divinazione, gioco che affonda le sue radici in una tradizione antichissima e che, nell’ultima scena della commedia, si manifesta come emblema di attese di vita spesso deluse e speranze di vittoria sempre agognata, novanta numeri che estratti dal “panaro”  diventano occasione di scherno e divertimento, di feroci battute, ma anche di evocazioni affettuose.