Gherardo Colombo e il suo libro con Liliana Segre, percorso di libertà e giustizia

Gherardo Colombo e il suo libro con Liliana Segre, percorso di libertà e giustizia

AttualitàBenevento Città

Nel pomeriggio di martedì 28 Marzo, continuando negli incontri programmati per il nono Festival Filosofico del Sannio intorno al tema della Libertà, organizzato dall’Associazione Culturale “Stregati da Sophia”, presieduta da Carmela D’Aronzo, negli spazi del Cinema San Marco di Benevento, Gherardo Colombo ha tenuto la sua lectio magistralis intorno al tema : “ La colpa di essere nati”, argomento che ricalca il titolo del suo ultimo libro scritto in collaborazione con la senatrice Liliana Segre.

 Gli interventi dell’ex magistrato sono stati coordinati dal giornalista Mario Valentino e preceduti dal saluto del Sindaco Clemente Mastella che, riconoscendo la valenza professionale ed umana del Colombo, ricorda che lo stesso sarà nuovamente ospite di Benevento in occasione di una cerimonia di gemellaggio con un paese francese dal nome Bénévent-l’Abbaye, centro fondato intorno all’anno Mille da profughi beneventani.

Dopo i saluti all’importante ospite, Carmela D’Aronzo ha ricordato la rilevante figura della senatrice Liliana Segre, coautrice del libro, donna che con coraggio, continua a testimoniare le brutalità e le crudeltà di cui è stato vittima il popolo ebraico e lei stessa, sopravvissuta ad Auschwitz, ma ancora alla ricerca del senso più profondo del concetto di libertà, dove quest’ultima acquista significato solo se si continua a testimoniare quanto è accaduto, affinchè vicende tanto tragiche non diventino solo racconti lontani e sbiaditi di cui si perde memoria e traccia e l’indifferenza non avvalori la sottomissione.

Nel libro “La colpa di essere nati”, i due autori ripercorrono,oltre alle vicende personali e politiche degli anni tra il 1935 ed il 1938, con l’emanazione delle leggi razziali e ovviamente quella personale della Segre che, ancora bambina, ha conosciuto la discriminazione per ragioni etniche, religiose e linguistiche, anche gli anni della prigionia in Italia, dopo un tentativo di fuga in Svizzera e la deportazione ad Auschwitz su un carro bestiame.

Con il libro gli autori vogliono interrogarsi sulla profonda differenza che c’è tra giustizia e legalità. Essi mettono in risalto la necessità dell’affermarsi della giustizia stessa come unico strumento contro il ripetersi di vicende che videro, un mondo di normalità stravolgersi per diventare un palcoscenico di brutalità e violenza, il buio di un tempo che videro una bimba di otto anni divenire, improvvisamente, “invisibile” agli occhi del mondo e di quanti, fino ad allora, l’avevano frequentata e fatta partecipe delle loro vite, con la sola colpa di “essere nata”, quasi che non esistesse più.

D’Aronzo legge, in merito alla Segre, una missiva che la stessa, impossibilitata ad essere presente, ha inviato a tutti i partecipanti all’evento e nella quale ribadisce l’importanza di negare ogni indifferenza di fronte a vicende tanto gravi come quelle da lei vissute, negare che possano giustificarsi discriminazioni , che vi siano alcuni primi ed altri secondi, ma soprattutto ricordare che : “Non abbiamo bisogno di eroi, serve tenere sempre viva la capacità di vergognarsi per il “male altrui”, di non voltarsi dall’altra parte, di non accettare le ingiustizie, di non assistere passivamente al bullismo, di non dire mai “non mi riguarda”.

Ella, scrive ancora, vuole concludere la sua vita mettendo, come si fa nei cimiteri ebraici, una pietra che rappresenta la voglia di ricordare, perché nessuno dimentichi.

Prende poi la parola Gherardo Colombo che, alla domanda del Valentino che gli ha chiesto da quando conosceva la Segre e soprattutto da quando si è interessato della Shoah, egli ha risposto di conoscere la Segre da circa quattro anni, soprattutto però da quando ha cominciato a testimoniare la sua esperienza da sopravvissuta, ma della Shoah egli si è interessato negli anni ’60, fin dal processo ad Adolf Eichmann a Gerusalemme, un SS responsabile dell’omicidio di milioni di ebrei.

Egli ricorda anche che la Segre gli ha chiesto, prima di raccontare la sua storia sotto forma di dialogo tra i due, di vedere il film “Il giardino dei Finzi Contini”, in modo da comprendere come la condizione degli ebrei sia cambiata radicalmente con le leggi razziali, da normalissima a terrificante e di come, quasi in modo naturale, gli ebrei fossero emarginati da un momento all’altro.

Colombo racconta di come solo il papà della Segre era contrario al Fascismo, tutti gli altri l’accettavano quasi come normale, come accadeva a tutti gli ebrei di Milano, eppure l’antiebraismo probabilmente covava sotto la cenere, le leggi razziali consentirono poi a quel sentimento di prendere piede. Alla domanda in merito da dove nascesse quel pregiudizio antiebraico, Colombo risponde che l’odio verso gli ebrei era celebrato anche nelle chiese cattoliche, specie nei riti pasquali, in memoria della morte di Cristo per mano ebraica.

Egli ricorda anche che per fare una guerra, vedi la Germania del tempo, bisogna costruire un nemico, anche per dare a se stessi tutti i meriti, con la propaganda, che celebra le negatività dell’altro; la verità era che gli ebrei erano più bravi di altri, specie in economia, è la stessa propaganda di oggi contro gli immigrati. Liliana Segre ha scelto la libertà di scendere in campo per raccontare le verità tragiche che erano ignorate, donna di coraggio che ha infranto ogni indifferenza anche sostenuta dalla nostra Costituzione, amata da entrambi gli autori e regola di convivenza che, se rispettata, consentirebbe di vivere meglio.

Dopo aver ribadito l’importanza delle regole in ogni ambito della nostra vita, egli ricorda che esse sono informazione, come la libertà è una scelta regolata dalle stesse norme e, in merito, cita gli articoli 1 e 3 della nostra Costituzione, fondamento di ogni democrazia.

Lezione di civiltà e amore del prossimo nelle parole di Colombo, insegnamento di convivenza e rifiuto di ogni sopraffazione, esaltazione del dettato costituzionale e del suo messaggio di giustizia e libertà, momento di crescita collettiva e democratica di cui gli siamo grati.

Passione nella lotta all’illegalità e amore fraterno nelle parole di Giovanni Impastato (FOTO)

Passione nella lotta all’illegalità e amore fraterno nelle parole di Giovanni Impastato (FOTO)

Cultura

Nel pomeriggio di martedì 7 marzo, all’interno degli incontri programmati per il nono Festival Filosofico del Sannio, organizzato dall’Associazione Culturale “Stregati da Sophia”, presieduta da Carmela D’Aronzo, negli spazi del Cinema San Marco di Benevento, Giovanni Impastato ha trascinato il folto pubblico presente, nel suo ricordo appassionato del fratello Peppino e della sua lotta irrefrenabile alla mafia ed al suo codice criminale.

Dopo l’introduzione all’incontro che rientra nella tematica della libertà, Carmela D’Aronzo ha presentato gli ospiti della giornata e precisamente Giovanni Impastato, fratello di Peppino – giornalista, conduttore radiofonico e attivista italiano nonché membro di Democrazia Proletaria, noto per le sue denunce contro la mafia che pagò con la vita – la prof. Antonella Tartaglia Polcini, Assessore alla Cultura ed alla Valorizzazione del patrimonio culturale, Simmarco Perillo (Presidente della cooperativa sociale “Al di là dei sogni”e del consorzio NCO- Nuova Cooperazione Organizzata) e il giornalista Mario Valentino che ha coordinato gli interventi.

Ella ha anche ricordato che, a chiusura dell’incontro, si sarebbe potuto visitare la mostra “Tracce di libertà”, con opere realizzate dagli alunni del Liceo Artistico “Virgilio” di Benevento.

Mario Valentino ha aperto l’incontro presentando il libro di Giovanni Impastato dal titolo: “GIOVANNI IMPASTATO MIO FRATELLO tutta una vita con Peppino”, un volume significativo già dalla copertina in cui si vedono dei palloncini rossi e, al di sotto, una foto di Peppino con dei palloncini bianchi.

Egli ha chiesto il significato dei due colori utilizzati e Impastato ha risposto che bisogna capire, a partire dalla foto del fratello, che Peppino non era solo quella figura di rivoluzionario impegnato politicamente, un uomo molto attento alla disobbedienza civile, alla giustizia sociale, oltre che impegnato politicamente, ma era anche una persona a cui piaceva divertirsi e la foto risale ad un carnevale di un anno prima che fosse ucciso, quando lui decise di mascherarsi da clown per far divertire dei bambini presenti nella piazza del paese.

Lui aveva tanta creatività, voglia di conoscere le cose, di passare dalla fantasia alla realtà; storia popolare ed umana quella di Peppino Impastato che, a distanza di tanti anni dalla sua morte, continua a commuovere e coinvolgere gli italiani.

Impastato ha creduto nel popolo, dice Giovanni, pur nella sua lotta solitaria, la sua prima battaglia è stata contro la costruzione dell’aeroporto di Punta Raisi, nel territorio di Cinisi, zona all’epoca ricca di frutteti, agrumeti e uliveti ed abitata da circa 200 famiglie. Un’operazione di speculazione sulla vendita dei terreni e su un’area infelice per la costruzione di un aeroporto. L’operazione è stata voluta dallo zio Cesare Manzella, capomafia nella Cinisi del dopoguerra, uomo potentissimo venuto dagli Stati Uniti  e autore del passaggio della mafia da fenomeno agricolo a urbano, poi assassinato con un ordigno esplosivo messo nella sua macchina.

Questo episodio fece esclamare a Peppino: “ Se questa è la mafia, io, per tutta la vita mi batterò contro” e manterrà la promessa che lo porterà alla morte con la stessa dinamite, con la differenza che lui fu tramortito e messo sui binari della ferrovia e fatto esplodere, era il 9 maggio del 1978, perché fosse avvalorata la tesi che era un terrorista, dal momento che era il periodo del terrorismo ed erano i giorni dell’omicidio Moro.  

Il libro è ricco di pagine inedite della vita di casa Impastato, in esso sono raccontati particolari mai conosciuti della vita di una famiglia mafiosa, il padre era un mafioso, e di rapporti tra fratelli non semplici, Peppino aveva cinque anni di più ed aveva passato molti anni in casa dello zio Mario, uomo di cultura e vicino alle idee socialiste, marito della sorella del padre, che lo aveva avviato alla visione legale contraria a quella mafiosa.

In quegli anni, egli conobbe anche Danilo Dolci, uomo dedito alle lotte nonviolente contro la mafia, la disoccupazione, l’analfabetismo e la fame endemica, oltre che alle disparità sociali ed il bisogno di affermare i diritti umani e civili.

La storia di Peppino non è dunque solo la vita di un uomo che odia la mafia, ma è quella di una persona che vive in una famiglia mafiosa; il padre lo caccia di casa soprattutto dopo gli attacchi alla mafia che Peppino fa attraverso la sua “Radio out”.  Solo la madre, Felicia Impastato, donna religiosa e legata al ruolo di famiglia tradizionale, non lo abbandonerà mai e negherà il permesso ai mafiosi, accorsi al funerale di Peppino, di scatenare vendette che avrebbero solo riscattato l’immagine della mafia fortemente indebolita dopo l’assassinio del figlio.

In merito all’episodio della morte del padre, come raccontato nel famoso film “I Cento passi”, Giovanni, con un filo di vergogna, rammenta di avere stretto le mani dei mafiosi accorsi per le condoglianze, cosa che Peppino, coraggiosamente, senza paura e coerente alle sue idee, si rifiutò di fare segnando, ulteriormente, il suo destino.

Giovanni Impastato rivendica la sua azione di ricordare il fratello non come un eroe lontano e particolare, ma come un uomo che credeva nella legalità e nella giustizia sociale, come potremmo essere tutti.

Segue l’intervento di Simmarco Perillo che racconta del bisogno di andare incontro a chi, emarginato per ragioni sociali o legali, ha diritto a ricostruire la sua vita e la sua dignità, obiettivo che egli, volontario, insieme alla cooperativa sociale “Al di là dei sogni”, nata nel casertano su un terreno confiscato alla camorra, sta tentando di fare.

L’incontro si chiude con domande poste da alcuni studenti presenti in sala a cui Impastato non si sottrare ribadendo che la presenza di suo fratello è sempre costante nella sua vita, come pure la sua passione di giustizia e legalità che egli condivide in toto.