Giornata Mondiale della lotta contro l’AIDS: malattia dimenticata, ma mai debellata

Giornata Mondiale della lotta contro l’AIDS: malattia dimenticata, ma mai debellata

Attualità

Mercoledì 1 Dicembre ricorre, ormai da oltre trenta anni, la Giornata Mondiale della lotta contro l’AIDS (acronimo di Acquired ImmunoDeficiency Syndrome), malattia quasi dimenticata, ma che colpisce oggi in Italia almeno 10 persone al giorno.

L’AIDS è stato individuato dal Centers for Disease Control and Prevention (CDC) nel 1981 e la sua causa, l’HIV, è stata identificata nel 1983.

Voluta a seguito del Summit mondiale dei ministri della sanità nel 1988, la giornata mondiale  è stata accettata e poi adottata da governi, organizzazioni internazionali e associazioni in tutto il mondo.  La giornata ha come scopo l’accrescere la coscienza dell’epidemia mondiale del virus che, dal 1981, ha ucciso oltre 25 milioni di persone e che, nonostante terapie e farmaci antiretrovirali abbiano stabilizzato  modalità e tempi di infezione, ha mietuto nel mondo milioni di vittime, oltre la metà delle quali erano bambini, una pandemia che ancora oggi  non dispone di un vaccino che possa bloccare il virus stesso.

La Repubblica

L’HIV (virus dell’immunodeficienza umana) provoca un graduale indebolimento del sistema immunitario esponendo la persona infetta a sviluppare infezioni cosiddette opportunistiche, come tubercolosi, polmoniti, meningiti e alcune forme di cancro. È questo il motivo per cui l’organismo di una persona contagiata subisce malattie e infezioni che, in condizioni normali, potrebbero essere curate più facilmente. In assenza di trattamento, la maggior parte dei pazienti evolve verso la malattia in un periodo medio di circa 8-10 anni; una quota minore ha una evoluzione più rapida, in circa 4-6 anni, mentre un 10-12% circa di soggetti sieropositivi hanno la tendenza a non ammalarsi anche dopo 12 anni e oltre dall’infezione.

Tuttavia la malattia non è stata vista, da subito, solo come una calamità sanitaria, ma ha assunto uno stigma sociale che ha generato diffidenza, pregiudizi ed emarginazione verso quanti colpiti dal virus. Nonostante il contagio avvenga solo tramite i contatti sessuali non protetti, attraverso il contatto con sangue contaminato e per via materno-infantile (durante la gravidanza, il parto o l’allattamento al seno), la malattia è stata individuata dalla società come espressione di comportamenti sbagliati in quanto, nei primi anni della diffusione di essa, le persone maggiormente colpite erano omosessuali, tossicodipendenti e prostitute.

Il malato di AIDS è stato dunque visto come “untore”, pericolo pubblico oltre che emblema di comportamenti socialmente esecrabili, ciò ha generato un atteggiamento di paura verso di loro ed in loro stessi, che erano visti e si vedevano come “mostri” che praticavano condotte a rischio, individui che alimentavano zone “oscure” dei comportamenti umani e che dunque temevano fosse resa nota la loro condizione.

Nonostante oggi il numero di morti per AIDS sia enormemente ridotto e la malattia sia contenibile e controllabile attraverso farmaci specifici, permettendo una vita personale e sociale normale,  non dobbiamo dimenticare né la presenza, né la pericolosità di questa malattia e dunque credere di aver vinto la battaglia contro tale pandemia.

Ogni anno nel nostro paese più di 3.500 persone scoprono di essersi infettate, la gran parte per via sessuale, con la maggior incidenza nei giovani tra i 25 e i 29 anni. Il problema è che molti non sono consapevoli dell’infezione poiché non hanno mai fatto il test, mentre altri, nonostante non abbiano avuto comportamenti a rischio, temono continuamente di essere stati infettati solo per aver stretto una mano di un malato di AIDS, o di essere stato nella stessa stanza.

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Eppure oggi la ricerca medica ha fatto passi da gigante, grazie a farmaci molto efficaci, la malattia è diventata una patologia cronica con la quale si convive e che permette di condurre una vita normale come quella dei non affetti da AIDS.

Dal  1996 una combinazione di farmaci riesce a “immobilizzare” il virus negli individui, bloccando lo sviluppo della sindrome immunodepressiva, ma non a eradicarlo,  l’infezione diventa perciò cronica, ma tutt’altro che debellata.  Oggi la sindrome da HIV è diventata endemica nei paesi sviluppati, dove è crollato il numero di decessi, ma non quello dei contagi, mentre ancora rappresenta un fattore di mortalità molto alto nei paesi in via di sviluppo nei quali la consapevolezza medica e sociale è ancora difficile.

E’ in discussione una riforma della legge 315 del 1990 sui diritti dei figli che dovrebbe prevedere  l’accesso diretto ai test diagnostici per Hiv a partire dai 16 anni, senza il consenso di chi esercita la patria potestà genitoriale. Tutto ciò ovviamente per favorire l’accesso agli stessi test ed evitare che il virus possa continuare a circolare grazie alla vergogna nel dichiarare i propri comportamenti.

La terapia della malattia oggi è diventata semplice ed accessibile, si è passati in pochi anni dall’assunzione di 20 pasticche al giorno alla necessità di ingerire solo una compressa al giorno per contrastare gli effetti ed i pericoli dell’ADIS e, si spera, presto si possa arrivare a limitare tale assunzione ad una volta ogni pochi mesi con farmaci a lento rilascio.

Nella Giornata Mondiale della lotta contro l’AIDS dobbiamo ricordare che l’AIDS non è contagiosa, è contagioso l’HIV non controllato dalle terapie ed ancora di più l’ignoranza di tanti , cosa che nutre paure e pregiudizi. E’ acclarato dunque che chi ignora di avere L’Aids e ignora come viene trasmesso è pericoloso per sé e per gli altri, chi invece sa della propria malattia e si cura adeguatamente non solo non è pericoloso, ma può vivere una vita normale alla pari di quanti non hanno contratto l’HIV.