<strong>Umberto Galimberti e  “l’illusione della libertà” al nono “Festival filosofico del Sannio”</strong>

Umberto Galimberti e  “l’illusione della libertà” al nono “Festival filosofico del Sannio”

AttualitàBenevento Città

Nel pomeriggio del 1 Marzo, in occasione del “Nono Festival filosofico del Sannio”, promosso dall’associazione culturale “Stregati da Sophia”, Umberto Galimberti , filosofo, sociologo e psicoanalista, ha intrattenuto il numerosissimo pubblico presente all’interno del Teatro San Marco di Benevento sul tema: “L’illusione della libertà”.

Una domanda importante quella posta dal filosofo: “La libertà esiste davvero per l’uomo?”, dunque  cosa presuppone davvero il concetto di libertà? Egli parte dal concetto di istinto che apparirebbe una forma massima di libertà, pulsione che però viene negata nella sua validità ed esistenza dai più grandi filosofi: Friedrich Nietzsche affermava che “l’istinto non racchiude tutta la complessità della specie umana”, Bergson diceva che: l’istinto è proprio degli animali perché tende a servirsi di strumenti già organizzati”, e come loro molti altri negavano il valore degli istinti.

In realtà noi nasciamo, afferma Galimberti, da indeterminati e confondiamo la libertà con la indeterminazione, non abbiamo istinti che ci codifichino, gli animali appena nati già agiscono da adulti, noi esseri umani non ne siamo capaci, noi abbiamo bisogno di educazione e, per vivere, necessitiamo di istituzioni, cosa che gli animali non conoscono,  dunque noi abbiamo pulsioni che sono indirizzate dall’educazione e dall’istruzione. Confondiamo dunque la libertà con la indeterminatezza che ci caratterizza.

I greci non avevano alcun concetto di lbertà, la loro vita era regolata dalla necessità che chiamavano “ananche”, essi non concepivano la natura come creatura divina, era qualcosa che si accendeva ritmicamente e secondo un ciclo eterno, essa ospitava uomini e dei, era immutabile, osservando le sue leggi si poteva costruire una società e la vita “secondo natura”. Gli uomini non sono al vertice del creato, secondo i greci.  Anassimandro, filosofo del 600 a.C., diceva che la caratteristica umana è quella di morire, secondo necessità. Tutto nel rispetto della misura e riconoscendo i limiti.

Questa visione del limite è infranta dalla cultura giudaico-cristiana, essa interpreta la natura come una creatura di Dio, perciò buona e viene consegnata all’uomo per il suo dominio, una categoria del dominio che i greci non avrebbero mai utilizzato. Oggi il potere dell’uomo sulla natura provoca solo distruzione.

Nel ‘500 Bacone, anticipando lo sviluppo della tecnica moderna, dice che con la tecnica recupereremo le virtù che abbiamo perso con il peccato originale, superando dunque il carattere del limite greco. Scienza e tecnica concorrono alla redenzione, sempre secondo Bacone.  Legame fortissimo tra nascita della scienza e teologia giudaico-cristiana. Se sei libero, però, sei responsabile e dunque punibile, una visione che interessa la società e il diritto, perché la morale cristiana è una morale dell’intenzione e responsabilità è uguale a punibilità.

La parola libertà compare per la prima volta in Inghilterra nel 1200, con la Magna Carta, ma come libertà dalla legge, ovviamente solo per i nobili; quando nel ‘600 nasce l’assolutismo, teorizzato da Thomas Hobbes per evitare il Bellum omnium contra omnes, che vede la libertà del solo sovrano e la perdita di essa da parte di tutti gli altri che l’hanno consegnata al sovrano; scompare la vendetta da parte di chi subisce un torto e la risoluzione di esso da parte di altri.

La rivoluzione francese parla di liberté, égalité, fraternité, caratteristiche dell’Illuminismo, in contrasto con il cristianesimo. La egalitè ha generato la socialdemocrazia, la libertè la liberldemocrazia, la fraternitè è stata dimenticata ancora oggi.

Per Marx che legge la libertà in chiave economico-sociale, l’economia dà libertà, ma poiché la ricchezza prodotta dall’economia non è uguale per tutti, è necessaria la lotta di classe. Il danaro, secondo il dettato cristiano, dovrebbe servire inoltre per aiutare chi ha bisogno, oggi però le banche, quasi tutte con nomi di santi, non aiutano se non dietro guadagno per loro. Un bene acquista così valore non tanto per poter essere scambiato con un bene di pari valore, ma solo come produttore di altro valore aggiunto.

Oggi il denaro è diventato acceleratore simbolico di tutti i valori, prosegue Galimberti, il danaro non è più un mezzo per soddisfare bisogni, ma è diventato lo scopo , il fine con cui si può ottenere qualsiasi cosa. Le leggi del mercato sostituiscono quelle di natura. I bisogni umani sono decisi dal mercato, secondo una cultura nichilista. La fine delle cose diventa il fine per cui sono prodotte secondo la legge del “consumare ..consumare”, nel rispetto delle leggi della tecnica che mette da parte tutta la parte irrazionale dell’uomo privilegiando solo la parte razionale, uccidendo sentimenti ed emozioni visti come una schizofrenia funzionale che non prevede alcuna libertà individuale.

Il concetto della funzionalità tecnica, ricorda Galimberti, nasce con il nazismo e cita l’esempio del capo del campo di concentramento di Treblinka Franz Paul Stangl che, alle domande di una giornalista che chiedeva cosa provasse a fare ciò che faceva, rispose dicendo che non doveva provare niente, doveva solo far funzionare il campo con i tempi di eliminazione degli ebrei. Fare ciò che chiedeva il capo. Tutto senza alcuna libertà.

Anche l’amore non è libertà, dice Galimberti, l’amore è legato a bisogni individuali di libertà, di uscire di casa, all’angoscia della solitudine, la parte razionale è condizionata dalle nostre pulsioni e dalle leggi sociali. Scambiamo per libertà quelle che sono le scelte pulsionari afferma il filosofo. In ciascuno di noi parlano l’io e la specie e spesso le due cose non vanno d’accordo. Parla in noi l’inconscio tecnologico che ci comanda che possiamo essere liberi purchè siamo efficienti, infatti oggi viviamo nella società dell’efficienza.

 La nostra esistenza è dunque in perenne conflitto tra identità e libertà. La nostra libertà deve sempre fare i conti con ciò che siamo e la nostra identità è ciò che ci fa guadagnare la fiducia sociale.  

Illusione della libertà? Forse il filosofo ha ragione, ma non possiamo nascondere che essa è tuttavia qualcosa di cui abbiamo fortemente bisogno.