La musica e la filosofia di Tommaso Paradiso a Benevento

La musica e la filosofia di Tommaso Paradiso a Benevento

Cultura

Martedì 9 maggio, negli spazi del Cinema San Marco, la musica e la filosofia del cantautore Tommaso Paradiso hanno voluto esaltare il concetto di “Libertà”, tema del nono Festival Filosofico del Sannio organizzato dall’Associazione culturale “Stregati da Sophia” presieduta da Carmela D’Aronzo.

Accolto calorosamente dal pubblico di ragazzi e adulti, presentato dalla D’Aronzo, che ha salutato tutti i numerosi presenti, autorità e studenti, è stato poi accolto simpaticamente dal Sindaco Clemente Mastella che, nel salutarlo, si è divertito a rammentare le numerose cose che accomunano il politico ed il cantautore, prima fra tutte la laurea in Filosofia, avere poi lui collaborato con il gruppo Thegiornalisti ed essere Mastella già giornalista in Rai ed infine aver cantato entrambi a Sanremo, il Sindaco con un dopofestival con Umberto Bossi.

La D’Aronzo rammenta poi la centralità del tema della libertà, soprattutto in un tempo quale quello in cui viviamo nel quale, prima la pandemia del Covid e poi la guerra tra Ucraina e Russia, essa è parsa minacciata da eventi improvvisi ed imprevisti che hanno obbligato, troppo spesso, a rinunciare ad esercitarla.

Ella ricorda poi che il 9 maggio si celebra la pace e l’unità in Europa, dunque si affronta il tema della libertà come cuore della democrazia  attraverso la “Giornata dell’Europa”, concetto dichiarato dall’allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman che, da europeista convinto, espose l’idea di una nuova forma di collaborazione politica in Europa, che avrebbe reso impensabile la guerra tra le nazioni del nostro continente.

L’incontro con Paradiso si articola poi, secondo il modello dell’intervista, con domande poste dalla D’Aronzo all’ospite, partendo dal significato della musica come viatico di libertà e sui vari aspetti e tempi della sua carriera di musicista e cantautore. Ella ricorda la nascita del musicista nel quartiere romano Prati e l’aver fondato nel 2009 il gruppo “Thegiornalisti”  insieme a Marco Antonio Musella e a Marco Primavera, oltre ad aver composto numerosissimi brani musicali di grande successo ed infine l’esperienza di regista con il lavoro “Sulle nuvole”.

Ella indica poi una serie di opere presenti in sala di una mostra, realizzata dagli allievi del Liceo Artistico cittadino, che sono state raccolte con il titolo “Indifferenza”, dove ogni indifferenza, come affermato da Liliana Segre, : “goccia dopo goccia lascia vivi fuori, ma uccide dentro”.

Interviene poi Paradiso che, prima di ogni altra affermazione, presenta il prof. Riccardo Chiaradonna, suo amico oltre che ordinario di Filosofia presso l’Università Roma 3, che lo ha accompagnato in quanto suo “mentore” nel percorso della riflessione quotidiana e musicale.

Alla domanda in merito al contributo che la filosofia ha dato alla creazione dei suoi pezzi musicali, egli risponde che è stata determinante, a partire dai tempi della frequenza universitaria, formazione intellettuale che, con i recenti impegni ha un po’ trascurato, ma che coltiva grazie al suo amico Chiaradonna. 

Dichiara di aver amato studiare e ascoltare i suoi insegnanti. In merito ai suoi inizi con la musica, egli afferma di essere stato folgorato dalla musica che ascoltava e, sulla scia di tanti filosofi del passato che facevano della musica quasi un assioma della riflessione filosofica, egli ha voluto emulare gli artisti del suo tempo abbracciando la pratica musicale.

La D’Aronzo chiede poi al Chiaradonna se la musica può essere filosofia. Egli risponde che la musica e la filosofia sono nate insieme, e per molti filosofi la musica riesce dove la filosofia non riesce, dà un’impronta filosofica alle emozioni, in quanto la musica arriva dove la filosofia deve fermarsi.

Alla domanda sulle difficoltà incontrate agli inizi della sua carriera, Paradiso afferma che sono stati anni difficili, con una gavetta faticosa, ma che con l’impegno, la costanza e l’amore per il suo mestiere, è riuscito a raccogliere risultati significativi e, proprio in merito a quanto detto, invita i giovani ad accettare le difficoltà, quasi strumento di crescita e formazione perché nulla è facile, ma è possibile, dunque lui si dichiara soddisfatto di quanto fatto finora e non ha altri sogni se non quello di godere di ciò che ha raggiunto.

Egli racconta poi della sua passione/ossessione per le stelle, lo spazio, l’astrofisica e dunque il cielo, che è spesso al centro delle sue musiche.

Alla domanda a Chiaradonna sulle ragioni che hanno portato la musica a perdere la sua centralità nel mondo della filosofia fino a diventarne ancella, anche se altri filosofi hanno affermato che i suoni sono importanti nella riflessione, egli risponde che oggi la musica e la filosofia rappresentano prospettive diverse che coesistono e si oppongono, ma questa è una ricchezza.

 La musica fa parte della nostra vita, egli dice, come il tempo citato da S.Agostino, la sentiamo dentro di noi, ma il volerla definire, come per il tempo,  ci mette in difficoltà, non abbiamo una definizione comune, ma ciò è un arricchimento.

Alla domanda a Paradiso su cosa sia per lui la libertà di pensiero, egli risponde che il pensiero è l’emblema della libertà, non nelle sue forme espressive, che sono diverse e codificate, ma l’atto del pensare infrange ogni barriera. E’ come scrivere una canzone, atto libero e appagante come lo scritto di un cantautore in cui ci può essere speranza e disperazione, come avviene nella vita.

Un grande applauso ha concluso l’intervento del musicista che, quasi in un simbolico atto di fratellanza con il Festiva filosofico del Sannio, ha ricevuto in dono una statuetta che, simbolicamente, lo legherà alla manifestazione ed alle riflessioni che esso porta avanti.

Paolo Crepet ed il valore dell’individuo in un mondo di omologazione tecno-social

Paolo Crepet ed il valore dell’individuo in un mondo di omologazione tecno-social

Cultura

Nel primo pomeriggio di lunedì 3 aprile, proseguendo negli incontri per il nono Festival Filosofico del Sannio introno al tema della Libertà, programma organizzato dall’Associazione Culturale “Stregati da Sophia”, presieduta da Carmela D’Aronzo, negli spazi del Cinema San Marco di Benevento, Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, ha coinvolto il numeroso pubblico di studenti, docenti ed appassionati di temi socio-tecnologici, nella sua lectio magistralis intorno al tema “Lezioni di sogni”.

Il suo intervento è stato coordinato dalla stessa D’Aronzo, animatrice dell’evento e dalla prof. Patrizia Pepe, docente di Storia e Filosofia presso il Liceo “Guacci” di Benevento.

Dopo i saluti di rito ed un memorandum sulle prossime attività programmate dal Festiva Filosofico da parte della D’Aronzo e sul valore del tema dell’educazione dei giovani, di cui il Crepet si è fatto promotore con i suoi scritti, la Pepe ha introdotto l’intervento dell’importante ospite, ricordando il suo impegno in campo culturale e sociale, le sue esperienze lavorative in giro per il mondo, i suoi rapporti con  Franco Basaglia, psichiatra e neurologo italiano ed i numerosi libri da lui scritti negli anni sui vari temi come la libertà, l’educazione dei figli, la felicità, l’amore, l’amicizia ed i sogni e soprattutto sull’ intelligenza artificiale ed i suoi limiti.  

Crepet apre il suo intervento ribadendo la seduzione della realtà, con tutte le sfaccettature con cui essa si presenta, attraverso letture, fonti di informazione, incontri con persone diverse, attimi grazie ai quali possiamo elaborare idee, convinzioni e scelte.

La realtà è però anche stupefacente, dice, specie quando essa, anche nella scuola, matura comportamenti che sembrano promettere innovazione e cambiamento e si rivelano, invece, ridicoli comportamenti che nascondono ragioni molto sciocche, vedi scioperi e manifestazioni che si propongono come rivendicazioni di diritti e nascondono invece solo la voglia di sottrarsi ai propri doveri ed impegni.

Sorridendo egli ricorda che quando i giovani fanno mattino in discoteca non si lamentano mai dell’impegno, ma quando devono prepararsi per una serie di interrogazioni si sentono vittime del sistema e, con essi, anche i genitori.

Richiamandosi poi ad un suo scritto precedente, egli ricorda come già allora tutti ritenessero che i figli vanno aiutati e sostenuti, ma forse devono anche imparare a fare da soli per crescere. Oggi questa necessità appare ancora più urgente di fronte ad un sistema educativo e sociale che presuppone che tutto debba essere ottenuto con il minimo sforzo e, possibilmente, senza rischi.

Aiutare i figli non vuol dire riverirli evitando loro ogni “fatica”, mentale e fisica, quando poi è arrivata la tecnologia digitale, la cosa, paradossalmente, è peggiorata.

Computer, cellulari, app di messaggistica che pretendono di fare comunicazione con frasi o emoticon predisposte dal sistema, hanno completamente cancellato lo sforzo di scrivere a mano o di utilizzare sistemi difficoltosi come le macchine da scrivere di un tempo. Oggi c’è l’utilizzo di smartphone che localizzano chi li usa cancellando ogni libertà e annullando il concetto di fiducia negli altri, specie se questi altri sono i figli.

Esistono ormai chat di intelligenza artificiale che, inserendo due-tre parole chiave, sono in grado di elaborare uno scritto articolato che i ragazzi possono usare per i compiti a scuola, cosa simile accade alle università, tutto in un inganno feroce che passa come normalità e, nello stesso tempo, annulla le capacità del cervello di elaborare, sbagliare, correggere e produrre qualcosa di proprio ed originale.

Oggi, come raccontato da un suo amico architetto, basta inserire nel sistema appropriato il nome di un materiale, di una dimensione e di un colore e quel sistema riesce a produrre una poltrona secondo le nostre esigenze; il sistema ormai, grazie anche alle nostre abitudini di inserire sulla rete foto, frasi, ricette e quant’altro, è capace di conoscere ciò che ci piace e come lo vogliamo, alla faccia della privacy e della nostra libertà di scelta, la rete sa tutto di noi, come se noi stessi ci fossimo annullati nel sistema.

Manca a questo comportamento il passaggio dei tentativi e degli errori, come è sempre stato nel tempo, in una parola manca il contributo della nostra identità, di quella normalità che ha prodotto geni, di quella prassi quotidiana che fa di noi ciò che siamo, individui unici e creativi che hanno fatto del tempo e delle difficoltà gli strumenti del loro agire personale e della caratterizzazione del proprio io.

Ci sono state persone che, con coraggio, hanno abbandonato i social per tornare alla normalità e, se è vero che non essere sui social vuol dire oggi scomparire dalla società e dalla comunicazione, personaggi come Elon Musk, grande imprenditore di sistemi tecnologici, insieme a 1800 illustri imprenditori e pensatori di vari ambiti, ha ammonito, di recente, sull’accelerazione dello sviluppo della tecnologia.

Dobbiamo abbandonare l’ovvietà, ammonisce Crepet e riconquistare la nostra libertà di pensiero, oltre a disconoscere il valore del metaverso che, a nostro parere è simile al mito della caverna di Platone e dunque solo un’illusione che nasconde la vera realtà, esso è una condizione che ci rende tutti disperatamente uguali e perciò davvero ci fa scomparire in quella realtà che vuole invece l’unicità e la sua originalità.

Rispondendo alle numerose domande poste dai presenti, Crepet raccomanda di tornare a rischiare, rifiutando la omologazione tecno-social perché solo così potremmo affermare la nostra preziosa individualità.

Gherardo Colombo e il suo libro con Liliana Segre, percorso di libertà e giustizia

Gherardo Colombo e il suo libro con Liliana Segre, percorso di libertà e giustizia

AttualitàBenevento Città

Nel pomeriggio di martedì 28 Marzo, continuando negli incontri programmati per il nono Festival Filosofico del Sannio intorno al tema della Libertà, organizzato dall’Associazione Culturale “Stregati da Sophia”, presieduta da Carmela D’Aronzo, negli spazi del Cinema San Marco di Benevento, Gherardo Colombo ha tenuto la sua lectio magistralis intorno al tema : “ La colpa di essere nati”, argomento che ricalca il titolo del suo ultimo libro scritto in collaborazione con la senatrice Liliana Segre.

 Gli interventi dell’ex magistrato sono stati coordinati dal giornalista Mario Valentino e preceduti dal saluto del Sindaco Clemente Mastella che, riconoscendo la valenza professionale ed umana del Colombo, ricorda che lo stesso sarà nuovamente ospite di Benevento in occasione di una cerimonia di gemellaggio con un paese francese dal nome Bénévent-l’Abbaye, centro fondato intorno all’anno Mille da profughi beneventani.

Dopo i saluti all’importante ospite, Carmela D’Aronzo ha ricordato la rilevante figura della senatrice Liliana Segre, coautrice del libro, donna che con coraggio, continua a testimoniare le brutalità e le crudeltà di cui è stato vittima il popolo ebraico e lei stessa, sopravvissuta ad Auschwitz, ma ancora alla ricerca del senso più profondo del concetto di libertà, dove quest’ultima acquista significato solo se si continua a testimoniare quanto è accaduto, affinchè vicende tanto tragiche non diventino solo racconti lontani e sbiaditi di cui si perde memoria e traccia e l’indifferenza non avvalori la sottomissione.

Nel libro “La colpa di essere nati”, i due autori ripercorrono,oltre alle vicende personali e politiche degli anni tra il 1935 ed il 1938, con l’emanazione delle leggi razziali e ovviamente quella personale della Segre che, ancora bambina, ha conosciuto la discriminazione per ragioni etniche, religiose e linguistiche, anche gli anni della prigionia in Italia, dopo un tentativo di fuga in Svizzera e la deportazione ad Auschwitz su un carro bestiame.

Con il libro gli autori vogliono interrogarsi sulla profonda differenza che c’è tra giustizia e legalità. Essi mettono in risalto la necessità dell’affermarsi della giustizia stessa come unico strumento contro il ripetersi di vicende che videro, un mondo di normalità stravolgersi per diventare un palcoscenico di brutalità e violenza, il buio di un tempo che videro una bimba di otto anni divenire, improvvisamente, “invisibile” agli occhi del mondo e di quanti, fino ad allora, l’avevano frequentata e fatta partecipe delle loro vite, con la sola colpa di “essere nata”, quasi che non esistesse più.

D’Aronzo legge, in merito alla Segre, una missiva che la stessa, impossibilitata ad essere presente, ha inviato a tutti i partecipanti all’evento e nella quale ribadisce l’importanza di negare ogni indifferenza di fronte a vicende tanto gravi come quelle da lei vissute, negare che possano giustificarsi discriminazioni , che vi siano alcuni primi ed altri secondi, ma soprattutto ricordare che : “Non abbiamo bisogno di eroi, serve tenere sempre viva la capacità di vergognarsi per il “male altrui”, di non voltarsi dall’altra parte, di non accettare le ingiustizie, di non assistere passivamente al bullismo, di non dire mai “non mi riguarda”.

Ella, scrive ancora, vuole concludere la sua vita mettendo, come si fa nei cimiteri ebraici, una pietra che rappresenta la voglia di ricordare, perché nessuno dimentichi.

Prende poi la parola Gherardo Colombo che, alla domanda del Valentino che gli ha chiesto da quando conosceva la Segre e soprattutto da quando si è interessato della Shoah, egli ha risposto di conoscere la Segre da circa quattro anni, soprattutto però da quando ha cominciato a testimoniare la sua esperienza da sopravvissuta, ma della Shoah egli si è interessato negli anni ’60, fin dal processo ad Adolf Eichmann a Gerusalemme, un SS responsabile dell’omicidio di milioni di ebrei.

Egli ricorda anche che la Segre gli ha chiesto, prima di raccontare la sua storia sotto forma di dialogo tra i due, di vedere il film “Il giardino dei Finzi Contini”, in modo da comprendere come la condizione degli ebrei sia cambiata radicalmente con le leggi razziali, da normalissima a terrificante e di come, quasi in modo naturale, gli ebrei fossero emarginati da un momento all’altro.

Colombo racconta di come solo il papà della Segre era contrario al Fascismo, tutti gli altri l’accettavano quasi come normale, come accadeva a tutti gli ebrei di Milano, eppure l’antiebraismo probabilmente covava sotto la cenere, le leggi razziali consentirono poi a quel sentimento di prendere piede. Alla domanda in merito da dove nascesse quel pregiudizio antiebraico, Colombo risponde che l’odio verso gli ebrei era celebrato anche nelle chiese cattoliche, specie nei riti pasquali, in memoria della morte di Cristo per mano ebraica.

Egli ricorda anche che per fare una guerra, vedi la Germania del tempo, bisogna costruire un nemico, anche per dare a se stessi tutti i meriti, con la propaganda, che celebra le negatività dell’altro; la verità era che gli ebrei erano più bravi di altri, specie in economia, è la stessa propaganda di oggi contro gli immigrati. Liliana Segre ha scelto la libertà di scendere in campo per raccontare le verità tragiche che erano ignorate, donna di coraggio che ha infranto ogni indifferenza anche sostenuta dalla nostra Costituzione, amata da entrambi gli autori e regola di convivenza che, se rispettata, consentirebbe di vivere meglio.

Dopo aver ribadito l’importanza delle regole in ogni ambito della nostra vita, egli ricorda che esse sono informazione, come la libertà è una scelta regolata dalle stesse norme e, in merito, cita gli articoli 1 e 3 della nostra Costituzione, fondamento di ogni democrazia.

Lezione di civiltà e amore del prossimo nelle parole di Colombo, insegnamento di convivenza e rifiuto di ogni sopraffazione, esaltazione del dettato costituzionale e del suo messaggio di giustizia e libertà, momento di crescita collettiva e democratica di cui gli siamo grati.

<strong>L’8 marzo attraverso la prestigiosa testimonianza di Dacia Maraini</strong>

L’8 marzo attraverso la prestigiosa testimonianza di Dacia Maraini

Cultura

Nel pomeriggio di mercoledì 8 marzo, all’interno degli incontri programmati per il nono Festival Filosofico del Sannio, organizzato dall’Associazione Culturale “Stregati da Sophia”, presieduta da Carmela D’Aronzo, negli spazi del Cinema San Marco di Benevento, Dacia Maraini ha tenuto la sua lectio magistralis sul tema “Donne e libertà: una rivoluzione ancora incompiuta!”.

Un 8 marzo particolare quello vissuto attraverso la testimonianza di una scrittrice, poetessa e saggista italiana innamorata della vita e del ruolo che le donne hanno avuto e possono avere nella società nazionale e internazionale, oltre che convinta sostenitrice dei diritti di tutti, ma in particolare di quanti non hanno voce o sono messi in condizione di non averne.

Hanno offerto i saluti istituzionali all’ospite la prof. Antonella Tartaglia Polcini – Assessore alla cultura di Benevento -,la prof. Maria Carmela Serluca – Assessore all’istruzione del comune di Benevento -, hanno conversato con la Maraini la prof. Aglaia Mc Clintock e il giornalista scrittore Eugenio Murrali.

La Mc Clintock ricorda il legame della Maraini con Pasolini, ambedue protagonisti di provocazioni che toccavano nel vivo la società italiana, una società che spesso li guardava scandalizzata e con sospetto diffidando dell’intellettuale militante che invece è fondamentale in una società in quanto trasforma la cultura in “grimaldello”, come diceva Maraini ed era solito fare Pier Paolo Pasolini.  

La D’Aronzo interviene ricordando l’ultimo scritto della Maraini : “Sguardo a oriente”, opera in cui ella descrive la realtà in tutti i paesi dell’oriente, in modo particolare la situazione che in quei luoghi vivono le donne, persone a cui la scrittrice ha deciso di dare voce  in quanto donna che ha incarnato impegno e coraggio e che ha sempre pensato che “le donne non sono angeli, sono persone”.

La Maraini tiene a precisare che la libertà è soprattutto libertà di agire, divertirsi, di scrivere ed anche di fare vagabondaggio, di fare ciò che si vuole, sempre nel rispetto delle libertà altrui. Segue un breve filmato sulla tragica condizione delle donne in Iran.  

Murrali interviene ricordando che la Maraini ha il coraggio dell’impegno, restituisce la voce alle donne e ai bambini che non hanno più voce ammutoliti dalla cultura del loro paese, dalla società, dagli uomini, tutto attraverso i suoi libri e i testi teatrali.

Noi ricordiamo che la scrittrice ha apertamente parlato di mafia, abusi edilizi, maltrattamento sugli animali, carcerati, senza tetto e malati di mente rinchiusi nei manicomi, senza distinzioni di sesso.

Difendere la propria libertà, precisa Maraini vuol dire anche rispettare le libertà degli altri, ma anche rispettare le leggi, la Costituzione, la democrazia, dove democrazia vuol dire controllo a vicenda delle istituzioni, le leggi sono la spina dorsale della democrazia, il caos è ciò che piace ai criminali, per questo è giusto combattere ogni forma di mafia, lo stato non è un nemico, come è sembrato da sempre al nostro popolo sempre invaso da genti diverse.

Dobbiamo ostacolare tutto ciò e tutti i governi che vogliono negare i diritti delle donne, ma non dobbiamo dimenticare che coloro che si oppongono ai regimi totalitari e filo religiosi che negano i diritti delle donne, combattono in situazioni di pericolo personale, per questo a noi non basta dire che non accettiamo le violenze ed i soprusi stando nelle nostre tranquille case, dobbiamo agire  denunciando in tutti modi, praticamente agire, secondo giustizia e dignità personale.

Ricordiamo, dice, le tante donne che nei loro paesi oppressivi, stanno combattendo per la loro libertà, dove le tre fondamentali libertà sono quelle di pensiero, parola e movimento, diritti universali che spesso si scontrano con i totalitarismi religiosi che governano nei loro paesi. E’ inaccettabile che una donna, per svolgere le attività più semplici come sposarsi o viaggiare, debba chiedere il permesso di un’altra persona che è sempre un uomo.

Dobbiamo dire anche, continua la Maraini,  che se guardiamo solo il nostro paese dovremmo riconoscere che c’è ancora molto da fare per il raggiungimento dei diritti completi delle donne, tuttavia molte leggi, alcune molto recenti, hanno modificato il sistema patriarcale che pure è esistito da noi per troppo tempo e, rispetto al quadro internazionale, l’Italia è un paese democratico e rispettoso delle donne.

Non esiste più nel diritto di famiglia la possibilità per un marito di “castigare” la moglie, dunque picchiarla, non esiste più il delitto d’onore, l’ingresso in molte professioni erano interdette alle donne, ora non è più così, eppure ancora sopravvive in alcuni uomini la convinzione di poter decidere della vita delle proprie donne e, quando queste chiedono libertà personali o abbandonano il proprio uomo perché la convivenza non è più possibile, assistiamo a femminicidi,  figli questi del presunto possesso della vita della propria compagna.

Il femminismo ha influito sul cambiamento di valori arcaici, la donna non è più solo “angelo del focolare” che si occupa della famiglia e lavora per essa, senza retribuzione, è persona che vive la propria vita insieme agli altri chiedendo che le siano riconosciuti meriti, retribuzione –pari a quella maschile – , che le sia concesso di studiare, creare, sognare e amare liberamente, come è nel diritto di ogni essere umano.

Dopo le numerose domande a lei rivolte da studenti presenti nel teatro, a cui Maraini ha dato risposta con la sua solita cordialità, gentilezza e fermezza, ella ha salutato i presenti augurando che certi valori siano condivisi per consentire la nascita di una vera comunità.

<strong>Umberto Galimberti e  “l’illusione della libertà” al nono “Festival filosofico del Sannio”</strong>

Umberto Galimberti e  “l’illusione della libertà” al nono “Festival filosofico del Sannio”

AttualitàBenevento Città

Nel pomeriggio del 1 Marzo, in occasione del “Nono Festival filosofico del Sannio”, promosso dall’associazione culturale “Stregati da Sophia”, Umberto Galimberti , filosofo, sociologo e psicoanalista, ha intrattenuto il numerosissimo pubblico presente all’interno del Teatro San Marco di Benevento sul tema: “L’illusione della libertà”.

Una domanda importante quella posta dal filosofo: “La libertà esiste davvero per l’uomo?”, dunque  cosa presuppone davvero il concetto di libertà? Egli parte dal concetto di istinto che apparirebbe una forma massima di libertà, pulsione che però viene negata nella sua validità ed esistenza dai più grandi filosofi: Friedrich Nietzsche affermava che “l’istinto non racchiude tutta la complessità della specie umana”, Bergson diceva che: l’istinto è proprio degli animali perché tende a servirsi di strumenti già organizzati”, e come loro molti altri negavano il valore degli istinti.

In realtà noi nasciamo, afferma Galimberti, da indeterminati e confondiamo la libertà con la indeterminazione, non abbiamo istinti che ci codifichino, gli animali appena nati già agiscono da adulti, noi esseri umani non ne siamo capaci, noi abbiamo bisogno di educazione e, per vivere, necessitiamo di istituzioni, cosa che gli animali non conoscono,  dunque noi abbiamo pulsioni che sono indirizzate dall’educazione e dall’istruzione. Confondiamo dunque la libertà con la indeterminatezza che ci caratterizza.

I greci non avevano alcun concetto di lbertà, la loro vita era regolata dalla necessità che chiamavano “ananche”, essi non concepivano la natura come creatura divina, era qualcosa che si accendeva ritmicamente e secondo un ciclo eterno, essa ospitava uomini e dei, era immutabile, osservando le sue leggi si poteva costruire una società e la vita “secondo natura”. Gli uomini non sono al vertice del creato, secondo i greci.  Anassimandro, filosofo del 600 a.C., diceva che la caratteristica umana è quella di morire, secondo necessità. Tutto nel rispetto della misura e riconoscendo i limiti.

Questa visione del limite è infranta dalla cultura giudaico-cristiana, essa interpreta la natura come una creatura di Dio, perciò buona e viene consegnata all’uomo per il suo dominio, una categoria del dominio che i greci non avrebbero mai utilizzato. Oggi il potere dell’uomo sulla natura provoca solo distruzione.

Nel ‘500 Bacone, anticipando lo sviluppo della tecnica moderna, dice che con la tecnica recupereremo le virtù che abbiamo perso con il peccato originale, superando dunque il carattere del limite greco. Scienza e tecnica concorrono alla redenzione, sempre secondo Bacone.  Legame fortissimo tra nascita della scienza e teologia giudaico-cristiana. Se sei libero, però, sei responsabile e dunque punibile, una visione che interessa la società e il diritto, perché la morale cristiana è una morale dell’intenzione e responsabilità è uguale a punibilità.

La parola libertà compare per la prima volta in Inghilterra nel 1200, con la Magna Carta, ma come libertà dalla legge, ovviamente solo per i nobili; quando nel ‘600 nasce l’assolutismo, teorizzato da Thomas Hobbes per evitare il Bellum omnium contra omnes, che vede la libertà del solo sovrano e la perdita di essa da parte di tutti gli altri che l’hanno consegnata al sovrano; scompare la vendetta da parte di chi subisce un torto e la risoluzione di esso da parte di altri.

La rivoluzione francese parla di liberté, égalité, fraternité, caratteristiche dell’Illuminismo, in contrasto con il cristianesimo. La egalitè ha generato la socialdemocrazia, la libertè la liberldemocrazia, la fraternitè è stata dimenticata ancora oggi.

Per Marx che legge la libertà in chiave economico-sociale, l’economia dà libertà, ma poiché la ricchezza prodotta dall’economia non è uguale per tutti, è necessaria la lotta di classe. Il danaro, secondo il dettato cristiano, dovrebbe servire inoltre per aiutare chi ha bisogno, oggi però le banche, quasi tutte con nomi di santi, non aiutano se non dietro guadagno per loro. Un bene acquista così valore non tanto per poter essere scambiato con un bene di pari valore, ma solo come produttore di altro valore aggiunto.

Oggi il denaro è diventato acceleratore simbolico di tutti i valori, prosegue Galimberti, il danaro non è più un mezzo per soddisfare bisogni, ma è diventato lo scopo , il fine con cui si può ottenere qualsiasi cosa. Le leggi del mercato sostituiscono quelle di natura. I bisogni umani sono decisi dal mercato, secondo una cultura nichilista. La fine delle cose diventa il fine per cui sono prodotte secondo la legge del “consumare ..consumare”, nel rispetto delle leggi della tecnica che mette da parte tutta la parte irrazionale dell’uomo privilegiando solo la parte razionale, uccidendo sentimenti ed emozioni visti come una schizofrenia funzionale che non prevede alcuna libertà individuale.

Il concetto della funzionalità tecnica, ricorda Galimberti, nasce con il nazismo e cita l’esempio del capo del campo di concentramento di Treblinka Franz Paul Stangl che, alle domande di una giornalista che chiedeva cosa provasse a fare ciò che faceva, rispose dicendo che non doveva provare niente, doveva solo far funzionare il campo con i tempi di eliminazione degli ebrei. Fare ciò che chiedeva il capo. Tutto senza alcuna libertà.

Anche l’amore non è libertà, dice Galimberti, l’amore è legato a bisogni individuali di libertà, di uscire di casa, all’angoscia della solitudine, la parte razionale è condizionata dalle nostre pulsioni e dalle leggi sociali. Scambiamo per libertà quelle che sono le scelte pulsionari afferma il filosofo. In ciascuno di noi parlano l’io e la specie e spesso le due cose non vanno d’accordo. Parla in noi l’inconscio tecnologico che ci comanda che possiamo essere liberi purchè siamo efficienti, infatti oggi viviamo nella società dell’efficienza.

 La nostra esistenza è dunque in perenne conflitto tra identità e libertà. La nostra libertà deve sempre fare i conti con ciò che siamo e la nostra identità è ciò che ci fa guadagnare la fiducia sociale.  

Illusione della libertà? Forse il filosofo ha ragione, ma non possiamo nascondere che essa è tuttavia qualcosa di cui abbiamo fortemente bisogno.